Ho nutrito una genuina passione per gli U2.
Non me ne vergogno. Anche al netto delle sottili frasi di scherno quando al fatidico “Dai su, spara il nome di una band alla quale hai legato gli anni della tua adolescenza”, rispondo secco “u two”.
Bono, Adam Clayton, The Edge e Larry Mullen Jr hanno rappresentato una grossa fetta del mio passato. Li ho ascoltati, letti, amati, respirati. Ho vissuto fasi alterne al loro seguito. Momenti altalenanti, come quelli che hanno di fatto caratterizzato la lunga carriera artistica dei quattro, mossasi tra punk e new wave, mutata in un non meglio identificato rock “‘n roll negli anni ’80, deviata ancora verso un alone più sperimentale e psichedelico. Prima della deriva, perchè anche questo va detto, e lo si legga come squisito parere personale, sul quale sentirsi liberi di dissentire.
Erano stati mesi tribolati, quelli a cavallo tra il 1989 e il 1990. U2 avevano vissuto di rendita per tutta la seconda parte degli anni ’80, dopo aver infilato nella collana due capolavori assoluti quali “The Unforgettable Fire” e (soprattutto) “The Joshua Tree”. I quattro irlandesi avevano conquistato l’America una seconda volta, prima di ripartire per l’Europa con una caratura diversa. Ma anche con un bagaglio di tanta incertezza, forse alcune frizioni – tra Daniel Lanois e Brian Eno, storici produttori – e la scelta di Bono e The Edge di provare a calcare nuovi terreni sonori. Allontanandosi da ciò che U2 erano stati fino ad allora, per approdare verso territori sconosciuti, quali l’elettronica che proprio in quell’epoca stava prendendosi la scena.
Quando si vive una band quasi si tratti di una famiglia, poi, ogni particolare diventa rilevante. Anche la separazione di The Edge dalla moglie si tramutò in elemento destabilizzante, in grado di accrescere il senso di fragilità ed insicurezza della formazione, forse minata anche da (mai meglio precisate) crepe interne.
Da qui la scelta di cambiare aria, per ritrovarsi e pensare a un seguito da dare agli anni ’80, chiusi con un “Rattle & Hum” smontato dalla critica (e rimasto sempre circondato da un senso di “incompiuto”). Berlino la meta designata, con la speranza di trovarvi un ambiente più caldo e sereno, dopo le tensioni che avevano portato alla caduta del muro. Nulla da fare, anzi. La band ““ una volta scesa all’aereo ““ si trovò di fronte la contestazione di un gruppo di ex-comunisti sovietici, evidentemente delusi dall’unificazione delle due Germanie.
“Achtung Baby” festeggia oggi 25 meravigliosi anni. Nacque proprio così: tra la polvere e lo sporco degli studi Hansa della capitale tedesca ““ le stesse mura tra le quali David Bowie aveva realizzato e prodotto la sua “trilogia Berlinese” ““ tra testi dissacranti, a puntare il dito contro un mondo proiettato verso la globalizzazione e una videocrazia ormai dilagante.
Ci sono un paio di aneddoti, sulla genesi di questo disco.
La stesura dell’album iniziò a singhiozzo, con due pezzi, “Mysterious Ways” e “Even Better Than The Real Thing” che sono in realtà outtakes del precedente “Rattle & Hum”. Bono e The Edge avevano lavorato a delle demo piuttosto sperimentali sul finire degli anni ’80, per poi riprendere in mano i progetti e conferire loro una forma più compiuta. Il vero punto di svolta, tuttavia, riguarda il pezzo che forse meglio rappresenta il quartetto dublinese nell’immaginario collettivo. Lasciate perdere la versione più recente (e senza spina dorsale, aggiungerebbe chi scrive), riarrangiata e in featuring con Mary J Blidge: “One” è quanto di più puro e genuino la band irlandese abbia prodotto durante il proprio percorso. Fu, quello, il brano spartiacque, necessario a ricomporre i rapporti tra i quattro. La canzone che ““ in definitiva ““ mise tutti d’accordo e, si narra, scongiurò lo scioglimento.
Al di là di questa gemma, divenuta una sorta di inno nella storia della musica dell’ultimo trentennio, sono parecchie le tracce di “Achtung Baby” alle quali sono e rimarrò legato. In ordine sparso: le struggenti “So Cruel” (questa suonata soltanto tre volte live, tutte negli States e nella leg del tour 1992) e “Love Is Blindness”; “Ultra Violet (Light My Way)”, che ancora oggi mi fa rabbrividire; non ultima, “Acrobat”. Passando – soprattutto – per “The Fly”, come “Zoo Station” un concentrato di atmosfere psichedeliche, sperimentazione e un tocco di suono puramente industrial come il paesaggio sonoro di Berlino suggeriva.
U2, Berlino – 1991
Proprio a “The Fly” venne associato anche il cambio di look di Bono, vestito quasi interamente in pelle nera, trucco pesante e un paio di occhialoni scuri avvolgenti ““ questi ultimi acquistati tra le bancarelle di un mercato rionale berlinese. Divenne poi Mr MacPhisto, a compimento di un cambiamento che si concretizzò nello Zoo Tv Tour successivo. “Achtung Baby”, insomma, aprì agli U2 le porte di show megagalattici, in stadi stracolmi e con scenografie all’avanguardia per l’epoca. Uno spettacolo nello spettacolo, apripista per una concezione di musica dal vivo più moderna, luccicante, attenta alla forma e forse un po’ meno alla sostanza. In piena linea con la veloce mutazione di una società allo sbando e senza più ideali.
Il titolo scelto? “Un grande imbroglio”, parola di Paul Hewson, alla storia Bono. Non significa assolutamente niente. ““ ha spesso raccontato il frontman della band ““ Questo è il nostro album più serio e più triste, ma ha un titolo ridicolo. Achtung e baby sono due parole producono un bel suono quando sono una vicina all’altra. Tutto qua. Ci siamo presi gioco della stampa, che ci aveva attaccati negli anni precedenti. Volevamo vedere quali reazioni avrebbero avuto i critici, magari inventando significati che non esistono. Siamo stati dei bastardi, perchè abbiamo atteso al varco le loro analisi da super intellettuali.
Un paio di ricordi sparsi, dal mio cassetto della memoria, infine.
E’ ancora nitida nella mia mente, l’immagine di un ragazzino di 18 anni appena compiuti, in un viaggio-studio di ormai una dozzina d’anni fa, a Dublino. U2 stavano finendo di registrare “How To Dismantle An Atomic Bomb” ed erano proprio nella loro città natale quando per giorni provai ad avvicinarmi agli studi dove il master stava per andare in produzione. Li “mancai” di una manciata di ore, perchè all’ennesima (cortese) insistenza, uno degli addetti alla sicurezza mi confidò che i ragazzi avevano già smontato tutto (si, disse proprio “the boys have gone, to Fez, for a short holiday”, liquidandomi). Mi diressi allora un po’ sconsolato al The Dockers. Si trattava di uno dei pub storici della città , appoggiato su una riva dell’Hudson. Lì, i quattro dublinesi erano di casa all’alba della loro storia di musicisti. Un muro, giusto a fianco della porta d’ingresso, accoglieva gli avventori con una distesa di firme e citazioni lasciate dai fan, e soprattutto un gigantesco “Everything you know is wrong“. Quel monito, emblema che aveva accompagnato proprio l’uscita di “Achtung Baby” e ““ idealmente ““ l’ingresso del mondo “post-muro” nell’era moderna, mi fece rabbrividire allora e lo fa tutt’ora.
Il The Dockers non esiste più, purtroppo.
Esistono ancora gli U2, seppur in una veste e in un contesto diversi, con stadi sempre pieni e folle festanti. Non che questo faccia la differenza, perchè quando si smarriscono idee e motivazioni, si rischia di trasformarsi in una sbiadita caricatura di sè stessi, alla quale soltanto la nostalgia rimane legata.
30 anni dopo, però, “Achtung Baby” riesce ancora a “sconvolgermi”, per la sua fragile e malinconica bellezza, per insegnamenti disseminati nel coraggio di cambiare strada, nella paura di affrontare il futuro. Un futuro oggi paradossalmente più incerto di quello prospettato a novembre 1991, quando il mondo sembrava dover cadere da un momento all’altro, in quella che in realtà era soltanto l’anticamera del suo declino.
U2 – “Achtung Baby”
Data di pubblicazione: 18 Novembre 1991
Tracce: 12
Durata: 55 minuti
Etichetta: Island Records
Produttore: Daniel Lanois, Brian Eno
Tracklist:
1. Zoo Station
2. Even Better Than The Real Thing
3. One
4. Until The End Of The World
5. Who’s Gonna Ride Your Wild Horses
6. So Cruel
7. The Fly
8. Mysterious Ways
9. Tryin’ To Throw Your Arms Around The World
10. Ultra Violet (Light My Way)
11. Acrobat
12. Love Is Blindness