Avevo un carillon quando ero piccolo, sembrava una piccola televisione e girando una manopola caricavo la molla che faceva scorrere un rullo con delle immagini disegnate, mentre suonava il breve motivo, quello che produce ogni carillon. Quando il motivo finiva, giravo di nuovo la manopola, il rullo si riavvolgeva e tutto ricominciava da capo. Quel carillon mi è tornato in mente ascoltando la prima eponima traccia del nuovo disco di Sandro Perri, “In Another Life”. Basata su un solo breve riff di sintetizzatore, si protrae per ben 24 minuti che sembrano molti meno ma allo stesso tempo infiniti, parte di un loop che rifugge ogni definizione temporale. Come in una ninna nanna per adulti, c’è una sensazione rassicurante in quel riff, negli assoli sparsi di chitarra che lo accompagnano, negli accordi di pianoforte e nella voce pacata che parla di un mondo più umano, senza odio, menzogna e avidità .

Sandro Perri è un musicista e produttore canadese, dalle ovvie origini italiane. Ex membro dei Great Lake Swimmers, produce musica da 20 anni sotto diversi moniker ma questo è solo il terzo album dove utilizza il suo nome anagrafico. Riprendendo elementi dei suoi progetti più sperimentali (Off World, Polmo Polpo), realizza qui un album di folk intimista infettato di elettronica, costruito su due sole idee. Il lato A è occupato per intero dalla traccia descritta sopra, quasi un lungo poema in versi che ha bisogno di spazio per respirare e trovare la sua compiutezza. Il lato B contiene invece un secondo brano, dalla durata più convenzionale ma inciso in tre versioni differenti: la prima dello stesso Perri, la seconda reinterpretata da Andrè Ethier (The Deadly Snakes) e la terza affidata a Dan Bejar (Destroyer). “Everybody’s Paris” sembra il contraltare terreno del mondo utopico descritto nel lato A, la città  di tutti da sempre pronta a fare da palcoscenico per i sogni più impossibili, che siano realizzati o infranti. La versione di Perri inizia con una filastrocca per bambini e prosegue su atmosfere sognanti, un lento risveglio sui boulevard. Ethier firma la versione migliore delle tre, mantenendo la struttura armonica di base ma riscrivendo il testo e rinunciando all’elettronica: la voce da crooner, una bellissima melodia di flauto, percussioni africane, una passeggiata primaverile tra azioni quotidiane e grandi aspettative. Bejar chiude il sipario dipingendo una Parigi notturna, coperta di neve, affascinante e ambigua, irresistibile e stregata.

“In Another Life” è un disco che si pone un obiettivo utopico non solo nel soggetto ma anche nella forma, stirando il formato canzone fino ad occupare tempi incongrui eppure facendoli suonare perfettamente naturali. è un esercizio e un invito a superare i limiti che diamo per scontati, partendo da cose minime, due innamorati che si tengono per mano, fino a quelle massime, un mondo più giusto e sereno. Come recita il primissimo verso, “lasciami entrare in questo sogno impossibile”.