Ritmo frenetico, colpi di rullante sul secondo e sul quarto battito, plettri che sfrigolano lungo le tastiere delle chitarre e via, parte “Chaos From Within”. Nell’arco di appena un minuto e cinquanta secondi passano in rassegna tutti gli elementi tipici del sound dei Bad Religion: strofe e ritornelli da cantare in coro, armonizzazioni vocali sopraffine, un assolo al fulmicotone e il consueto piglio malinconico dai tratti leggermente folk.
Non poteva iniziare meglio “Age Of Unreason”, diciassettesimo tassello nella discografia di una band che si appresta a celebrare i quattro decenni tondi tondi di attività . A sei anni di distanza dal precedente “True North”, con un chitarrista (Mike Dimkich, ex The Cult) e un batterista (Jamie Miller degli “…And You Will Know Us by the Trail of Dead) nuovi di zecca a sostituire rispettivamente Greg Hetson e Brooks Wackerman, il gruppo guidato dal professore universitario Greg Graffin torna a farsi vivo con un album di puro, trascinante hardcore melodico.
La tradizionale verve anthemica del sestetto brilla come non mai in queste quattordici tracce di punk rock intelligente, impegnato e barricadero. Al centro del bersaglio, inutile anche dirlo, c’è il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America, Donald J. Trump. è lui il simbolo di questa nostra triste epoca, fatta di sovranismi, fascismi, razzismo, fake news e propaganda martellante a colpi di tweet e selfie. Stiamo precipitando vorticosamente nell’abisso dell’età dell’irragionevolezza e nulla, almeno per il momento, sembra poter attutire la caduta.
Come risvegliare le coscienze di milioni di persone plagiate dalla retorica populista? è possibile comunicare con degli automi talmente ebeti da non essere in grado di tirare fuori più di due o tre stupidi epiteti per insultare chi è di parere avverso al loro? Probabilmente no, ma vale la pena provarci. Considerateli pure dei “buonisti”, dei “radical chic” o, ancor meglio, dei “professoroni”, visto il linguaggio forbito sfoggiato nei testi, ma i Bad Religion sanno benissimo come e dove colpire l’animo di questa mandria di indignati seguaci del finto anti-establishment.
A chi semina odio e mostra insofferenza nei confronti di un politicamente corretto considerato ipocrita e illiberale, Graffin e soci rispondono con un album che di politicamente corretto non ha davvero nulla. Basta andare a leggere come vengono trattati argomenti delicati quali il Russiagate (in “Big Black Dog”, un brano dal sapore quasi hard rock), la sindrome dell’eterno complotto (nell’esplosiva “Do The Paranoid Style”) o l’incomprensibile culto dell’incompetenza nato e sviluppatosi nei meandri bui della rete (in “Since Now”) per rendersi conto di come, nonostante tutto, una penna possa ancora essere più potente di una pistola. Sono loro stessi a dircelo, nell’accoratissima title track: When the violence has begun/We decree the pen more mighty than the gun/While the fools believe as one/In this unrepentant age of unreason.
Ciò che realmente sta a cuore ai Bad Religion di “Age Of Unreason” non è il semplice esprimere giudizi sull’attuale, delicatissima fase storica, ma il ben più impegnativo invito a prendere una volta per tutte una posizione chiara e netta, prima che sia troppo tardi. Vogliamo stare dalla parte di chi glorifica ignoranza e paura (“Candidate”) o di chi ancora sogna una società aperta e tollerante?
La domanda chiave si nasconde nell’intensissima “End Of History”: At the end of history nobody will be innocent/Of naked crimes against eternity/Tell me how do you want to be remembered/For generosity or a fucking monstrosity? Quando la storia sarà finita, quando anche questo periodo di mortificante disumanità sarà solo un ricordo, saremo ricordati come persone generose o deplorevoli mostri? Un quesito che ci fa riflettere, ci fa male e ci colpisce. Come una pietra. Come un pianeta. Come una fottuta bomba atomica.
Credit Foto: Alice Baxley