Ma che bello questo disco dei Sulk di Detroit (ci tengo alla precisione, giusto per non confondersi con i Sulk inglesi, ora, ahimè sciolti). Il terzetto americano ci porta in un panorama nu-gaze ricco di vivacità  e abbagliente varietà : a tratti sembra di ritrovare profumi quasi alla Black Rebel Motorcycle Club, mentre in altri ecco che emerge l’amore per gli anni ’90 e per band come i Ride. Ne esce quindi un disco decisamente variegato e ricco d’influenze, che non ha paura di sporcarsi le mani con il sound dei classici, ma anche conosce la nuova generazione di alfieri shoegaze come DIIV o Nothing.

Piace molto il suono “impastato” e greve , che ci porta nello shoegaze, ma sempre con una punta quasi popedelica, come in “Fixation” o “Fall Apart” che inizia alla Ride, per poi viaggiare in sentiri liquidi e psichedelici, come se le due anime di Andy Bell fossero state studiate e analizzate alla perfezione. La parte centrale del disco si basa anche su elettronica e groove alla moviola, giusto per perorare la causa della varietà . Se “asahi” è da club a luci soffuse, ecco che “i can’t b sure” pare uscire dalla mente di un Kevin Shields in vena di speimentazioni con i Chapterhouse del secondo album. E l’anima post-punk di “Waking Up” o “Run” così secca e tagliente da dove arriva? Eclettici e sempre centrati sull’obiettivo. Chi ama i brani in cui i riverberi esplosivi arrivano ad intermittenza, beh, andrà  in estasi per la cadenzata e malinconica “The Clock”.

Signori e signore, questi sono i Sulk e meritano tutta la nostra attenzione.

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