Instancabile Mike Kinsella, ormai sempre più a suo agio nel variare costantemente direzione e progetto musicale. Non smette il nostro infatti di avere più piedi in più scarpe e la cosa bella è che tutte sembrano avere il suo numero esatto e gli calzano alla perfezione.

In questo caso Mike ritorna nei panni del solista malinconico Owen, progetto che rispecchia il suo lato più intimista, toccante ed emotivo.

Credit: Bancamp

“The Falls Of Sioux” è il disco numero undici e sopratutto continua a portare avanti il percorso di collaborazione di Mike con S. Carey e Zach Hanson. Questo fa si che il suono sia sempre più ricco e pieno, meno da cameretta solitaria se vogliamo, anche se l’intimità che queste canzoni evocano non viene mai meno.

Una canzone come “Beacoup”, ad esempio, è “Owen al 100%” nell’uso delle chitarre, sia acustiche che elettriche, ma come si fa a non notare quel lavoro su un’elettronica accennata e le splendide voci che sussurrano, andando quasi in territori dream-pop? Questo per dire che se ci si rende perfettamente conto di chi stiamo ascolando, sono i particolari che danno quel tocco in pieno e rendono tutto, ancora una volta, magnifico e non una copia di strutture passate. Steel guitar, qualche synth, quei giri che ci sembra ci entrino dritti nel cuore, la malinconia insista nella voce stessa di Mike…siamo sempre pronti a dire “Ma questa l’ho già sentita” e invece non è così, non è mai così. Su tutto ci colpisce il lirismo struggente con arrangiamenti evocativi e magicamente bedroom-pop di “Hit and Run”, il forte accento sulla ritmica in “Mount Cleverest”, forse la canzone più “sonica” (se mi concedete il termine in un album di Owen) del lotto, (tra l’altro anche “With You Without You” lavora molto bene sul ritmo e nel finale ci porta letteralmente in un paradiso incantevole fatto di suoni avvolgenti), la suggestione profonda che sembra scivolare su quella specie di suono di carillon in “Penny” con lo splendido lavoro acustico e poi quella “Virtue Misspent”, che non sarebbe stato male nemmeno in un disco dei “suoi” American Football, quelli più accorti e raffinati del’ultimo periodo, con una ritmica dolcemente spezzata, le tastiere che disegnano una trama molto chiara e facilmente seguibile e una costruzione elegantemente e squisitamente pop.

Quel giorno che il buon Owen farà un brutto disco vi prego di segnarlo sul calendario come qualcosa di pazzesco, una roba tipo il ritorno dei dinosauri…una cosa più unica che rara insomma. Dormite pure sonni tranquilli, Owen non sbaglierà, come non ha sbagliato nemmeno questa volta. Ma non c’erano dubbi.