Ore 11.00. Giro come di consueto in via dello Sgargabonzi e c’è (come di consueto, anche in questo caso) il solito vecchietto barbuto coi jeans strappati in malo modo che suona l’ocarina appoggiato alla colonna e chiede variabili quantità di euro per elemosina. A metà strada (come di stra-consueto) mi hanno già offerto 4 biciclette pittate in tinta unita “ma non ti preoccupare…non sono rubate eh…” e svariati ma abbondanti grammi di fumo. A volte dico di “no” e basta, altre ci penso un po’ su perchè una bici in fondo mi farebbe comodo, ma la cazzata di fingermi straniero e non capire l’italiano non la faccio più. In quel caso ho notato il costo della bici sale vergognosamente in modo esponenziale è devi per forza prenderti anche un cucciolo di cane “in omaggio” come in Snatch. Vaffanculo a tutto il punkabbestiame che mi fa perdere tempo e voglia di ubriacarmi. Mi schiaffo le cuffie sulle orecchie e m’immergo nel disco che mi ha inviato la redazione. Danielson-Ships.
Nulla saccio about it.
Alzo gli occhi e mi sembra per un attimo di essere a Woodstock. Campanellini, cori beatlesiani, musica folk, etnica, fricchettonaggio e barbe lunghe. Poi passa. Apro il libretto per vedere un po’ di che roba si tratta. Una lista pressochè infinita di nomi e strumenti da cui spunta un Sufjan Stevens “addetto” all’oboe, ai flauti e ai fischi (?!?) che conferma la mia prima impressione lo-fi freak. Ma il disco più che altro è una sorta di Modest Mouse che provano a suonare folk: strano ma possibile. Indie d’oltreoceano che non aggiunge poi molto ai lavori di gruppi come Wolf Parade se non un’impronta più tranquilla e acustica, che mischiata a fumi alcolici, melodie da feste di paese finite a pasta e fagioli,risulta interessante ma non sconvolgente.Mi levo le cuffie e forse mi compro una bici. Ma senza cane.