Jeffrey Lewis, ventisettenne sfortunato disegnatore di fumetti e cantautore del giro Antifolk newyorchese, ingaggia il fratello per realizzare il terzo lavoro della sua sconosciuta carriera. La scaletta alterna sgangherati garage-punk, profumati di psichedelia elettrica e bassa fedeltà spesso troppo datati per non causare qualche fastidio, con più interessanti ballate fatte di semplici, quanto riusciti, giretti di acustica e poco altro ad accompagnare un profluvio di parole in caduta libera con lo stile di un rodato crooner ed il tono di chi sembra sapere che il suo disco non venderà molte copie.
Per scrivere fumetti occorre avere voglia di raccontare e da questo punto di vista Jeffrey non si (ci) risparmia nulla: storie di incertezza sul futuro professionale e sentimentale, attacchi d’ansia per il tempo irrimediabilmente perso, angoscia per l’abbandono di luoghi in cui si è vissuti, dialoghi con Will Oldham sulla ricetta per diventare un’indie rock star. Sarà per affinità di esperienze ma è veramente difficile trovare antipatico Jeffrey e non farsi avvolgere o toccare anche solo per il tempo di una o due canzoni da tanta imbarazzante ed impacciata intimità . La sua musica è tutt’altro che necessaria ma vale la pena di conoscere il personaggio e volergli bene.