E’la storia di ragazzini strappati alla loro innocenza – senza retorica, dannazione! E’la storia – dannazione! – di uomini neri che inseguono bambini sin nelle profondità dei boschi, dove un tempo il pericolo maggiore era costituito dal lupo (ma c’era sempre un posto da raggiungere; la casa della nonna dove trovare riparo, dannazione!). E’la storia di un carillon perduto nei meandri di un bosco, che ancora continua a suonare, con la ballerina al centro ancora intenta a danzare, ignara della scomparsa della sua padroncina. E’il suono dei violini che fanno a gara con il vento. La sola via di fuga, per un bambino mai nato, è un giardino dove tanti fiori dormienti aspettano il sole del futuro.
Ma c’è un esile ponte che lega il nero bosco e il giardino dei fiori dormienti, “Black Sheep Boy” degli Okkervil River e l’ultimo “Palo Santo” degli Shearwater; un ponte dove i sussurri hanno lasciato il posto ad un grido lacerante, che è d’aiuto e di disperazione insieme; dove la voce non è più usata per narrare, ma per colpire, per far male; per infliggere agli altri le stesse nostre ferite. Un posto dove Will Sheff e Jonathan Meiburg si trovano faccia a faccia con i demoni che li hanno guidati nella loro precedente fatica discografica. C’è spazio soltanto per una breve canzone d’amore (“Last Love Song For Now”), sulle orme dei Calexico.
Il resto sono atmosfere da incubo-senza-risveglio, in cui la differenza tra il folk delle origini (“Black Sheep Boy #4”) e il rock occasionale di oggi (“No key, No Plan”) – che avvicina talvolta i “gospel” di Micah P. Hinson – (“Another Radio Song”) è stata più volte chiamata Emo.
La profezia vuole però che, dopo il passaggio del black sheep boy, il ponte sia crollato, sotto la piena del fiume che attraversava, dividendo per sempre il bosco ed il giardino; così come viene diviso per sempre il mondo di una volta, dopo la perdita dell’innocenza. Dannazione.