Il “french touch” raramente sbaglia.
Da quando, nello scorso decennio, i cugini francesi hanno esibito questa personale abilità di trattare elettronica applicandola ai più diversi generi musicali, risultati entusiasmanti sono stati sotto gli occhi di tutti. Evidente la ventata di freschezza che ha investito i club di tutta Europa, l’house rivitalizzata (Cassius, Daft Punk) il jazz tirato a lucido (St.Germain, Gotan Project), notevole l’interesse suscitato presso il pubblico rock, incuriosito tanto dalla commistione di pop e psichedelia inaugurata dal duo Dunckel–Godin (aka Air), che dai semplici passatempi melodici di gruppi come Phoenix e Tahiti “’80.
Con tali presupposti è opportuno fidarsi quando da Parigi si alzano segnali di approvazione per l’ennesimo enfant-prodige.
Il polistrumentista Sebastièn Schuller dopo tre anni dall’acclamato EP “Weeping Willow” giunge finalmente alla pubblicazione del suo atteso, debutto discografico (uscito in parte del mercato europeo l’anno scorso, sbarcato in America solo in questi giorni).
Schuller alla scuola di “french touch” deve aver trascorso molto tempo da attento studente. Ha seguito con interesse le lezioni di pianoforte e atmosfere cinematiche del professore Yann Tiersen, passato ore ed ore chino sui testi di illustri docenti come Kid Loco, Air, luminari nel combinare in modo assolutamente personale sonorità pop ed elettroniche.
Le undici tracce di questo entusiasmante esordio riesce però ad andare ben oltre le semplici e più ovvie influenze nazionali. Forte la sensazione che l’artista parigino, intenzionato ad esprimere al massimo le sue potenzialità espressive, non si sia fatto scrupolo a ricercare valide alternative sonore in giro per il mondo.
Consumando “Happiness” è facile immaginarsi il suo autore vagare per l’Islanda intento a studiare tanto il post-rock onirico dei Sigùr Ros che gli intrecci elettro-minimali dei Mùm, soffermarsi nelle capitali rock, da Londra a New York , spettatore entusiasta della recente evoluzione di Radiohead e Blonde Redhead.
Nel remoto caso in cui le sonorità proprio non riescano a riportare alla mente capolavori come “Kid A” e “Butterfly Is Misery”, ecco correre in nostro aiuto la voce di Schuller filtrata e manipolata, praticamente una copia non autorizzata di quella di Tom Yorke.
Detto questo però non bisogna incappare nell’errore di trattare il parigino come un semplice, seppur abile, imitatore. Il suo sound malinconico e al tempo stesso melodico è ricco di felici soluzioni musicali, fini arrangiamenti, elementi che denotano indubbie e personali capacità compositive. Fosse uscito qualche hanno fa “Happiness” sarebbe stata perfetta colonna sonora per pellicole come “The Virgin Suicides” e “Lost In Translation”, ma non c’è da rammaricarsi, in tempi in cui Hollywood sembra non poter far a meno di lanciare sequel di fortunate produzioni cinematografiche, siamo sicuri che il nome di Sebastian Schuller sta cominciando a circolare anche al di là dell’oceano.