Questo quartetto californiano sembra ufficialmente uscito da un film di Wes Anderson. O forse potrebbero essere i film di Wes Anderson che ora mi sembrano direttamente usciti da un disco degli Under The Influence of Giants, ma voglio concedere al regista dei Tenenbaum il vantaggio cronologico di essere arrivato prima.
Dunque gli UTIOG hanno un nome che non ha assolutamente nessun senso, e se pure dovesse avercelo, la sensazione è che sia uno di quei nomi di cui è forse meglio ignorare l’origine. E’ quindi con certe aspettative che mando in play il cd, perchè si ok si dice che non si giudica dalle apparenze, libri, cd ed eventualmente persone. Ma insomma a volte, se non spesso, la forma è funzione: tipo è estremamente probabile che quel tizio con il culo basso e il profilo a pera non sarà mai il vostro gregario ideale per le uscite in mountain bike, che quella pettinatissima ragazza vestita con il catalogo barbie autunno/inverno 2006 con ottime probabilità potrebbe non essere interessatissima a raggiungervi al concerto di Thom Yorke o che quel Mac dal design fichissimo è effettivamente meglio del solito lagnoso pc windows. Insomma sapete, questo genere di cose qua.
Fatto stà che la sostanza di questo esordio dei UTIOG è sicuramente all’altezza della forma. Gli anni 90 hanno lasciato questa (distorta) sensazione che la musica sia una faccenda mortalmente seria, perciò se voglio ancora divertirmi quindi mi tocca guardare sempre più indietro. Allora un bel impasto di funky, disco 70 con trombette varie e hook ossessivi a volontà mi pare sempre la ricetta perfetta. In più devo dire che questo album è suonato ed arrangiato davvero bene, sospetto confermato dal fatto che ad un ascolto più attento mi pare che sia proprio lo stile del suonato a salvare qualche traccia dall’incipit non proprio brillante. Ad ogni modo funzionassero così anche dal vivo questi “influenzati dai giganti” sarebbero la fine del mondo. Il terno secco e tirato che apre la tracklist, ovvero “Ah Ah”, “Got Nothing” e “In The Clouds” , dovrebbe essere in grado di dare una bella smossa anche al dancefloor più svogliato. Poi, bella sorpresa, si rallenta con “Stay Illogical” e la voce di Aaron Bruno senza incertezze trova anche un falsetto da far invidia a Bee Gees e Chicago, dimostrando che senza perdere un grammo in stile la band funziona bene anche su meccaniche di taglio pop. Mica male. Non che ci sia da aspettarsi testi di spessore in questo genere di musica ma devo riconoscere ai nostri, nel momento del bisogno, anche una certa capacità nel gestire atmosfere dolceamare senza perdere leggerezza.
“Against All Odds” è un bell’omaggio alla scuola disco inferno che furoreggiava a fine anni 70, “Lay Me Down” dimostra la versatilità della band nel reintepretare sempre in linea con lo stile del disco anche certe suggestioni da chitarra e spiaggia californiana dalle parti di Jack Johnson. “Faces” convince e conferma la validità globale di questo debutto, niente di innovativo e fortunatamente direi in questo caso dato che è proprio la ricerca di certe sonorità del passato a far decollare questo cd, ma vi assicuro che un pezzo del genere praticamente a fine disco tira ancora bene e coinvolge.
Mio dio sono finito anche io Under The Influence of Giants…e non so neppure cosa vuol dire.