C’è un posto in cui potete indossare la vostra maglietta aderente – senza maniche – e fregarvene dei peli che vi spuntano dal colletto; perchè nessuno è lì, pronto a tirarvi addosso un cassonetto della spazzatura.
C’è un posto in cui la vostra compagna di banco delle superiori si chiamava Monica Lewinsky e – ogni santo giorno – vi tirava le palline di carta con l’elastico; e dato che, con la vostra pettinatura stile pechinese-dopo-il-diluvio-universale, non la degnavate di uno sguardo, finita la scuola ha deciso di buttarsi in politica e sui frappuccini.
In quello chesso posto potrebbe capitare che, mentre tornate a casa – in macchina – dalla discoteca, la minigonna della vostra amica esegua un “doppio carpiato frollocchenberg con avvitamento malleolo tibiale” ( ® Just) e voi, che di nome fate Will Schwartz (e avete avuto un passato negli Imperial Teen), mentre ascoltate “I Know What You Want” di Mariah Carey, non troviate niente di meglio da dire, se non: “Ehi! Perchè non mi mandi un demo, in formato wma, con la tua voce – che ho da poco messo l’adsl – e non proviamo a fare anche noi un disco?”. Tempo zero chiamate il vostro amico Tomo (gay o almeno bisessuale), che è un amgo dell’elettronica e, dopo averlo convinto ad abbandonare – ogni tanto – il suo laptop per la dancefloor, lo coinvolgete nel progetto.Tempo (circa) tre anni e siete pronti a pubblicare il vostro primo album. Dimenticavo: vi chiamate Hey Willpower. E che musica potevate suonare, se non quella che vi accompagna ogni giorno per strada, mentre andate al lavoro o mentre siete a casa a cucinare?
Non vi siete mai vergognati di dichiarare apertamente il vostro debole per le Top 40 e per certo R’n’B danzereccio (avete chiamato il vostro album d’esordio PDA, Public Display of Affection). Però non volevate nemmeno essere etichettati come musica commerciale: ed è qui che entra in campo la produzione DIY, rigorosamente low-budget (per usare un eufemismo); e i bleepy blippy glitch del sintetizzatore di Tomo; e pure le coreografie con due ballerine in body ed autoreggenti che fanno molto Scissor Sisters. Ecco quindi che il vostro R’n’P(op) indipendente è bello che pronto per essere consumato nelle migliori discoteche.
Infine le canzoni: si va dall’Usher, senza lustrini e gioielli, che cerca di rimorchiare in un club di periferia (“Uh-Uh-Uh”); al Justin Timberlake indie e disgraziato che per tirare avanti fa il benzinaio (“Not Trippin'”, “Phenomenon” e “Too Hot”), sognando di diventare il Micheal Jackson pre-demenza; fino alle influenze Scissor Sisters (“Hundreadaire” e “Double Fantasy II”) e Le Tigre (“Magic Window” e “Retail Heaven”).
Un ultimo avviso, prima di cominciare a ballare: ogni innalzamento del testosterone è puramente voluto.
Credit Foto: Sarah Cass