PROLOGO: prendere una buona dose di Neil Young, amalgamarla poi con un misurino di attitudine lo-fi alla Lou Barlow, un pizzico di Beck e un pugno di estrosa improvvisazione, dopodichè accendere lo stereo o qualunque tipo di lettore musicale, attendere qualche secondo ed ecco pronto il disco d’esordio di Chad VanGaalen, “Infiniheart”. Un’album pieno di tutto, che schizza in moltissime direzioni diverse e quasi sembra sfuggirti dalle mani. Un bellissimo disco che circa un anno fa prometteva un futuro roseo per il talentuoso polistrumentista canadese . Vi basti ascoltare “Kill me in sleep” per farvi un’idea.
CAPITOLO PRIMO: e siamo al secondo disco, e visto quanto è prolifico l’artista in questione è ancora molto poco. Pare abbia registrato un centinaio di canzoni negli ultimi dodici mesi, per poi sceglierne quattordici per questo Skelliconnection, che, diciamolo subito,non delude le attese. Il risultato finale non si discosta dal fortunato esordio, proponendo una forma di folk arricchito da soluzioni elettroniche lo-fi, spunti rock, country e blues, che confluiscono in uno stile che è già molto personale. Molto ben costruiti i brani, che oscillano tra classiche impostazioni folk come in “Sing me to sleep”o “Graveyard”, momenti più spigolosi e distorti (flower garden), improvvisazioni strumentali o elettroniche che costituiscono brevi intermezzi tra una canzone a l’altra, mentre il resto offre suggestioni in chiave indie rock, atmosfere talvolta più sintetiche e vicine a quello che si osa definire post-rock.
CAPITOLO SECONDO: difficile davvero riuscire a fornire un quadro esaustivo da ciò che viene fuori nelle tracce di questo lavoro. I progressi col suo predecessore ci sono, soprattutto nella coesione nei brani nonostante le innumerevoli influenze e sfumature. Ecco, questa volta non si ha l’ impressione che il disco schizzi da tutte le parti come non possedesse punti di riferimento, anzi sembra ci sia una logica ben precisa che lega gli episodi della scaletta. Siamo di fronte ad un’artista dalle potenzialità enormi, che probabilmente in futuro ci riserverà ancora grosse sorprese se saprà cavalcare ancora meglio il proprio talento.
CAPITOLO TERZO: un imbuto, a Chad VanGaalen servirebbe semplicemente questo per il futuro, in modo tale da far confluire in un suono ancor più denso la miriade di ingredienti apparentemente incompatibili delle proprie influenze.
EPILOGO: e ora si, potete pure uccidermi nel sonno.
Credit Foto: Marc Rimmer