Non è più il tempo di Bach che percorre 250 miglia pur di ascoltare l’organista Dietrich Buxtehude. Isolamento e separazione sono i colori che contraddistinguono la vita metropolitana di ogni giorno come una gita in barca sul Lochness al tramonto.
Separati ed isolati geograficamente (Paul Fiocco si è trasferito a Stoccolma, mentre Kane Ikin è rimasto a Perth), i Solo Andata iniziano un processo di scambio di suoni/file da una parte all’altra dei continenti, intrecciando una fitta rete di fili invisibili che, attraverso la telematica, toccano gli stessi suoni e lo stesso sentire.
Il risultato è “Fyris Swan”, un album di debutto che diventa testamento da tramandare ai posteri; un trattato sul “ruolo del tempo, dello spazio e della tecnologia nella composizione musicale”; un libro da ri-prendere dallo scaffale abbandonato di certo post-rock elettro-acustico.
La loro musica si fa morbido vascello che esplora le varie latitudini, i vari climi e temperature geografico-musicali: il caldo suono dei campanelli e dei flauti bretoni cari a Yann Tiersen (“Old City Crowd”); gli ipnotici tappeti di solitudine alla Four Tet (“Her Face Soft As Sleep”) e la giocosità glitch-rumorista degli Psapp (“A Ballet Of Hands”), che si ritrovano nelle terre d’Albione; i loop impercettibili di “Among The Olive Trees” e “Beneath This Stone Wall”; i fumosi paesaggi free jazz di certi vecchi club americani, riscaldati da un pigro sassofono (“Together Apart”); e le colonne sonore di vecchi film ormai dmenticati (“Midnight”). Rimane infine segreta la contraddittoria alchimia tra la separazione fisica dei musicisti e il respiro di calorosa umanità del suono, che evoca silenti paesaggi boschivi, marine pervase dal vento, ma soprattutto scenari dell’anima.