Almeno qualche anno fa sapevo chi sono: una bambina che si divertiva a creare dolci rumori elettronici con una tastiera Casio (“Dead Of Night”); adesso non più. Se soltanto potessi tornare un’ altra volta, rinascere altrove: in Svezia magari: potrei cantare (o almeno ascoltare) quelle canzoni indie pop da adolescenti – così dolci, così private, fresche come le trame delicate dei sambassadeur (“Water Circles”) – insieme a te; potrei ballare nei club e bere sidro fino a tardi, al ritmo di chitarre punk-rock dal suono teso ma delicato (“June”) e aspettare la chiusura del locale ballando un lento (a volte [“Sun King/Sandrine”] – vorrei essere come Isobel Campbell nei Belle & Sebastian); “e non crescere mai”. Forse rimpiangerei qualcos’altro. Ma sono sicura che molto presto lo dimenticherei.
Sono giorni polari – questi – a Maniago, la città dei coltelli. La provincia mi sta stretta.
Vorrei partire, andare; tracciare cerchi sull’acqua e morire tra le tue braccia. A volte cerco di convincermi che col mio senso dell’umorismo potrei mutare le stagioni in colori. Il più delle volte – invece – mi svegliano nel cuore della notte rumori indistinti, campanelli nell’aria, rumori spettrali portati dal vento, clangori di catene in lontananza (“Spoon-Bending Party”); e l’unica melodia che riesco ad intonare è quella del fallimento.