C’ era una volta Edward Droste. Edward da Chicago, all’ inizio della nostra storia, tutto pensava tranne, un giorno, di incidere un disco per la Warp. Ma le favole si sa hanno percorsi ingarbugliati e finali incredibili.
Ribattezzatosi ben presto con lo pseudonimo di “Grizzly Bear”, Edward registra una manciata di pezzi su cassetta a beneficio del proprio ristretto pubblico d’ amici. Il disco piace e il ragazzo viene messo sotto (contratto) dalla Kanine, è “Honor Of Plenty”, sostanzialmente di Indie Rock si tratta ma non impressiona.
Edward cade nel dimenticatoio, associato frettolosamente, ad una nascente-morente pseudo scena dall’ estetica prettamente gay.
Nel 2006 (si parla dei giorni nostri) i Grizzly Bear tornano con “Yellow House”, Edward non è più solo ma accompagnato da un gruppo di talentuosi musicisti, in grado di dar corpo alle su intuizioni Pop a dir poco trascendentali.
“Yellow House” è lo specchio del suo creatore, una contraddizione vivente, un concentrato di brillanti deduzioni da secchione dell’ Indie Pop, che però non trovano mai la soddisfazione della perfetta centratura.
Il disco sembra apparentemente seguire le orme degli High Llamas (grandissimo gruppo), riproponendo la formula catchy-pop dei suddetti ma con una variante personale, melodie segmentate e ansiosamente a singhiozzo. La classe comunque, va precisato, è quella dei già citati High Llamas.
“Yellow House” è fatto di particolari, i segmenti melodici sono microcosmi allucinanti e allucinati, ma pur parlando di pop matrice Beach Boys non abbiamo mai la soddisfazione del pezzo orecchiabile memorabile. Un po’ come se Wilson & Co. tentassero di suonare jazz attorno al fuoco (ce li vedete?). Avete presente gli Animal Collective sinfonici senza corrente? Ce li avete davanti.
Credit Foto: Simon Fernandez [CC BY]