Nell’era in cui anche la morte e Lady Oscar, ormai prossima all’ospizio, tengono aggiornati i loro siti on-line, diventa automaticamente impossibile per voi evitare l’informazione lucente su questa band che procede contromano in galleria a fari spenti verso chiunque sia interessato a un paio di accordi messi in fila a dovere. Con un veloce colpo di spugna il vostro cervello cancella tutti i vari Rakes, Mando Diao, Maximo Park, Editors, Arctic Monkeys, Bravery, Bloc Party e Nada Surf per piazzare al centro del ring le ottantadue-ma-in-realtà -dodici tracce garage di “Stop the Tape! Stop the Tape!”.
Si, perchè qui i secondi scorrono e con loro scivolano via anche i normali paletti che delimitano e differenziano una traccia dall’altra. Così capita che ti ritrovi all’inizio della settima canzone (“Devil”) ma in realtà è la numero 43. Dettagli in definitiva”… . Torniamo al centro della scena. David & the Citizens nel mezzo, con i The Killers morti ammazzati per terra ai loro piedi (“…toh la cara legge del contrappasso”…) e non importa se durano solo fino al giorno di Santo Stefano. Vorrà dire che mi ci spaccherò i timpani sotto le feste, dato che “Sad Song #2” mi sa molto di melodia allegra e distorta, perfetta per le prossime festività . Domanda a cui rispondere si: “Può essere il pop dinamico e romantico allo stesso tempo?” “_ _!(inserire risposta)” Questo disco proveniente dalla sempre più fertile Svezia ne è l’ennesima conferma. Molto revival.
Impressioni che provengono da lontano ma anche da dietro l’angolo, leggasi Brit Pop dello scorso decennio. Il fuzz, il doposbornia col fiato corto e tutta quella musica inglese anni novanta, rimescolata a dovere. Portata un gradino più su. Un passo più avanti (o due indietro, dipende, ma tanto è lo stesso per le correnti musicali: tornano quando sembrano scomparse del tutto, ri-diventando la nuova avanguardia quando uno meno se lo aspetta”…). Ecco i Supergrass che sfociano in qualcos’altro quindi. Ecco questa voce che a volte urla, raschia a dovere il pavimento e si spezza. Un timbro che si avvicina a quello di Pelle Almqvist, cantante degli Hives. Fortemente convincente. Saranno anche due notti di fila che faccio fatica a dormire come una persona normale ma sono abbastanza lucido per affermare con sicurezza che, a livello personale, “A Heart & a Hand & the Love for a Band” è con ogni probabilità la miglior canzone di apertura di un disco indie rock per questo 2006. Stupenda anche “To Keep You Safe from Harm & Trouble”, traccia numero (ehm”…) cinquanta di un album prodotto in un modo perfetto, che smussa chirurgicamente tutti gli angoli di quelle canzoni che si trasformano e cambiano pelle in soli tre minuti. Quelle per capirci che passano dalla poesia al calcio in culo: dal pianoforte/chitarra-acustica alle distorsioni/Jack Daniels.
Produzione affidata a un marchio di garanzia come quello della Bad Taste Records che propone artisti di notevole spessore (Denison Witmer anyone?). Questo disco suona un po’ come se gli Interpol si scrollassero dal groppone tutta la tristezza e le atmosfere cupe, lasciando intravedere una maggiore apertura verso sonorità meno claustrofobiche, più varie, e verso una gioia di vivere e di ubriacarsi al pub sconosciuta ai più. O potrebbe anche far pensare agli Spoon solo più dinamici e meno legati col filo spinato a un sound che sembra “dover esser così per forza, sennò qualcuno s’incazza”. Qualcosa di molto 1984 emerge sporadicamente e riporta il cervello a galleggiare sull’ondata di suoni analogici e tremendamente asciutti. Scambi veloci di chitarre che dialogano freneticamente da un canale all’altro, instaurando una discussione accesa. Non è solo questo. C’è anche spazio per qualche episodio “soft” che vorrei lasciar scoprire a voi. Non volete più sentir nominare la “parola chiave” New Wave? Ok, vi capisco perfettamente anche perchè ho il vomito anch’io, però tenete a mente che questo è un disco rock che merita. A prescindere da tutte le catalogazioni e gli schemi dentro cui lo si potrebbe intrappolare.