(“Lettera di Natale” Pt. 1) Caro Babbo Natale, ho saputo che a causa dello scioglimento dei ghiacci, ci hai rimesso la casa. Mi dispiace, ma ci dovevi pensare prima, tutti quei nani malefici ti hanno scroccato l’ alloggio per anni, “una tantum” potevi anche chiedergliela.
Quest’ hanno ho deciso di fartelo anche io un regalo, te lo lascio nel camino (dentro). Se passi entro un ora decente, la notte della vigilia, potrai trovare, ancora fumanti, i ciddì masterizzati di mia sorella: Hard-Fi, Finley e Mondo Marcio (che quel ragazzo, povero, ne ha passate di tutti i colori). Io anche quest’ anno, come da umile tradizione, non chiedo molto, solo la promessa solenne che anche nel 2007 sarò in grado di rimanere a bocca aperta per un disco semplice (all’ apparenza) come quello dei Sodastream. Non è una cosa scontata, e tu lo sai bene con tutti quei: veniamo giù dai monti, dai monti del Tirolo cantiamo tutti in coro Loacker che bonta.
Ma tu ci pensi se un giorno ci venisse a noia la musica? E se finissero le combinazioni possibili di note? E se nemmeno Ariel Pink potesse più?
Caro Babbo Natale, preferisco non pensarci e godermi i Sodastream.
Forse non tutti sanno che la scena Indie Australiana è grande al pari (almeno) di quella Inglese e Statunitense nel periodo di riferimento degli ’80. E molti si sorprenderanno nell’ apprendere che gli odierni fasti Canadesi sono ben poca cosa rispetto alla magnificenza della new wave “australe” che fu. Basti solo pensare a Go-Betweens, Nick Cave, The Birthday Party, The Triffids o ai recenti The Lucksmith, Art Of Fighting “…etc
“Reservation” dei Sodastream, pubblicato in Italia dalla Homesleep, è l’ ennesima conferma di una discografia impeccabile. Riverberano e riecheggiano, in un gioco di rimandi particolarmente ingarbugliato, i Richmond Fontaine e gli Okkervil River (sotto sedativo), Nick Drake e Elliott Smith. Si scorgono dietro tramonti aborigeni le malinconoie tipiche dei Belle & Sebastian, ma prive di quel feedback di ottimismo alla Candy Candy, che da sempre sottende una volpe qualsiasi che corre sulla neve (“To find something you could eat”).
“Reservation” è forse più asciutto e meno orchestrale del suo predecessore, ma la differenza la fanno gli arrangiamenti particolarmente azzeccati, costruiti su quattro capelli di linee guida: basso, steel guitar, viola, piano e batteria.
Una puntuale conferma per i fan e un ottimo inizio per i neofiti.