Dieci anni fa, i ventenni d’oltremanica indossavano spesso Clark’s, camicie Burberrys e montgomery. Ostentavano tutti una certa strafottenza, un’arroganza che magari non gli apparteneva intimamente, ma che, comunque, era il caso di mostrare.
La causa di tutto questo risiedeva solitamente in un cd che aveva in copertina l’immagine di due uomini che camminavano in direzioni opposte, presumibilmente per qualche strada di Londra. Il titolo si riferiva a qualche sorta di Gloria mattutina, se non sbaglio.
Dopo dieci anni e passa, non è cambiato molto.
I ventenni nel 2006 indossano Converse, cravattini neri stretti e giacche di pelle. La strafottente arroganza sembra essersi acquietata, ma non del tutto.
Le cause di questi lievi cambiamenti sembrano essere tutta un serie di gruppi che, in un modo o nell’altro, hanno probabilmente ascoltato migliaia di volte quell’album dalla copertina ordinaria. Luke Pritchard, il leader dei Kooks si è ritagliato una parte in questo macrocosmo musicale mediaticamente sterminato ma, musicalmente, molto molto povero di idee e personalità .
A differenza dei maudit anacronistici che, nel 2006, ancora credono basti recitare la parte del tossico per essere un artista, Luke e la sua band quel posto se lo sono guadagnato onestamente, a colpi di pop song melodiche, catchy, solari e rock ” quanto basta “.
A dirla tutta hanno avuto anche un bel po’ di fortuna ad incontrare quasi subito la mano fatata della Virgin Records, che si è posata su di loro senza che i nostri avessero fatto poi molta gavetta.
Fatto sta che i Kooks hanno approfittato della buona sorte per incidere uno tra gli album più piacevoli dell’anno, quell'” Inside In Inside Out ” che è arrivato a toccare il tetto del milione di copie vendute in tutto il mondo.
Il 2 novembre i Nostri approdano al Circolo degli Artisti per la tappa romana del loro tour, che li ha visti suonare praticamente ovunque in tutta Europa, ” Festivalbar ” compreso.
Ben consapevole quindi del target di pubblico che mi avrebbe atteso al Circolo, arrivo stranamente puntuale sul posto per ascoltare questi nuovi idoli delle teen-ager. Che ci sono, e sono moltissime. Stanno in prima fila, con la tradizionale Union Jack e i meno consueti palloncini colorati, con i cellulari pronti a scattare foto e filmare la performance del loro gruppo prediletto, con le frangette e le spille britanniche.
I Kooks, più puntuali del sottoscritto, salgono sul palco verso le dieci e mezza, accolti da un orda di urla e gridolini come ogni popstar che si rispetti.
Chitarra acustica per Luke e partono le note di ” Seaside “, seguita dalla nervosa ““ e strapop ““ ” See The World “. L’impressione iniziale è la stessa che accompagnerà tutto il live: quella di un gruppo che suona brit-pop bene, molto bene, con energia, gusto per la melodia e una buona capacità tecnica; di un cantante che sa stare sul palco, che non si risparmia ( anche nelle ” dovute ” pose per le fans ) e che tutto sommato non pare essersi montato la testa neanche troppo.
Tra la supergrassiana ” Eddie’s Gun ” e le schegge Razorlight \ Shed Seven di ” You Don’t Love Me “, il concerto fila liscio come ce lo si aspettava, con i cori adolescenziali di ” Naive “, con una splendida ” Match Box “,con un paio di b”“side interessanti e pure due bis, naturalmente di brani che erano già stati suonati, perchè i pezzi scritti non sono ancora moltissimi.
Amaro in bocca?
Non fosse per i 16 euro del biglietto, assolutamente no.
British pop ci si aspettava e british pop si è avuto.
E poi, senza fare troppo gli spocchiosi, chissà quanti di noi una decina di anni fa ““ ai tempi di quell’album dalla copertina ordinaria ““ si dimenavano sotto il palco dei loro idoli agitando Union Jack convinti, nella loro arroganza giovanile, che quella che stavano ascoltando fosse la miglior band di tutti i tempi”…