Uno dei più grandi dischi fra i piccoli dischi del 2006.
I Submarines suonano elettronica nelle dichiarazioni ufficiali, ma in sala registrazione tirano fuori il manuale del perfetto “poppettaro” e sfoderano hits britanniche fino al midollo; forse non è un caso che siano sotto la Nettwerk.
Emuli degli Electric President, con quello sguardo vispo di chi è furbetto e sa di esserlo, i Submarines interpretano l’ elettronica home-made con un attitudine meno casereccia e più tendente al “fare le cose per bene”. Forse Blake Hazard (lei) e John Dragonette (lui) giocano a fare le pop-star o forse sono il sunto finale di un inizio decennio (quasi fine) votato all’ indietronica. Queste sono conclusioni che non si posso estrapolare da un esordio.
Dal punto di vista tecnico il suono è pulito, in questo senso rimangono lontane le “sporcizie” elettroniche dei già citati E.P., ma similmente a questi ultimi la melodia è unicamente affidata a poche linee guida. Una chitarra acustica ed una serpeggiante elettrica, si alternano di volta in volta accompagnate da un basso, una tastierina, una drum machine e dal solito synth. Niente muri, niente complessità .
Il disco è tanto immediato e sincero, da catturare nonostante un evidente ingenuità di fondo, riflessivo ed intimistico tanto da riuscire a dir qualcosa su dei binari in cui è già stato detto molto (tutto!?!).
Melodie Beachboysiane in chiave romantico/riflessiva, la voce della bellissima Blake Hazard, novella Jewel, vi porterà in un purgatorio elettrificato di Amore non convenzionale.