Abbiamo tutto per te, figliolo. Benvenuto nella merda più nera. Soffri di nausea? Hai attacchi di ansia? Ti manca l’aria, vero? (Oddio quanta aria fresca nei polmoni ti manca) Nell’ultimo anno sei dimagrito chili e chili per poi rimetter su peso, a forza di pensieri alla frutta candita? T’interroghi ancora sul significato di certe cose assurde che in molti reputano imprescindibili? Beh”…basta. Qui sei nella merda e adesso tutto può fottersi in un secondo. Sei in un ovale rotto da un bambino anemico. Sei dentro una delle tante uova disegnate da Bosch. E la cosa sorprendente è che”…sei a testa in giù, cazzo! Eccolo qua il mio amico Guy Blakeslee che, se tira vento se ne vola e se lo abbracci crepa, per quanto è secco. Stavolta Entrance non è una persona smarrita che a diciott’anni se ne scappa, nauseato dalla cattiveria di Baltimora e comincia a dormire sotto i ponti, a suonare come un pazzo in ogni scantinato d’Europa e del Nord America. No. Stavolta dietro la sigla d’Entrata finalmente c’è una produzione con un pizzico di buon senso.
C’è un’etichetta, la Tee Pee (The Brian Jonestown Massacre, Witch, Kalas) e prima ancora la Entrance Records. Ci sono dei veri musicisti, non più campanelli e idee rotte (seppur bellissime). C’è una batteria e un basso e una chitarra allucinatissima e”…un violino (!). C’è Paz Lenchantin a co-produrre, a co-suonare, a co-cantare e c’è un vortice di psichedelia immenso, lisergico, a tratti balcanico a tratti molto blues. Quel blues che ai tempi di Ray Charles i neri cantavano giù in strada per scaldarsi le vene, nascosti dentro agli angoli di New York, di fronte a un bidone che andava a fuoco e che spingeva via lontano nel vento anche le ultime ceneri delle loro coscienze (annegate altrimenti dentro una bottiglia di Jack). Le coscienze si. La dignità mai. Questa vita devi morderla, cazzo devi addentarla e fargli male, fratello. Devi farla sanguinare tu per primo e non puoi permetterti di soccombere a qualche colpo basso. Questo disco eccellente suona esattamente come dovrebbe suonare. “Pretty Baby” è l’epicentro di un vortice che risucchia tutto. I violini e una carovana di strani personaggi.
Jack White che dopo parecchi bicchieri di Rum “alla calata” prende una Hofner rossa fiammante, la attacca a un amplificatore valvolare e comincia a suonare ubriachissimo una poesia di Patti Smith in chiave selvaggiamente blues. Ecco come suona sta roba. C’è un concetto dietro a questo album. C’è il concetto che l’unica cosa sicura della tua cazzo di vita è una sola. La morte. Si, ok, toccati quello che vuoi quanto vuoi ma tanto è così. Punto. E allora ecco la celebrativa e ammaccatissima “Prayer Of Death” [ I Want To Die Without No Fear/ I Want To Die Rejoicing/ I Want To Meet My Brother There/ And Hear His Glorious Voice Sing/”…], un estratto dal libro tibetano della morte ad aprire il booklet, un bel po’ d’illustrazioni piene di scheletri che rubano donne impaurite dai loro villaggi, altri rimandi funerei e le dediche a Syd Barrett, Kurt Cobain, William Blake e altri parenti e amici passati a miglior vita. Ricordati che devi morire! “Si si…mo me lo segno.” rispondeva Troisi qualche anno fa in un film. Quest’album procede lentamente come un carrozzone del circo che traballa su una strada sterrata, lascia cadere a terra gli strumenti, buca una ruota, ma va avanti dritto alla meta. Disco registrato in undici giorni, su un sedici piste a Chicago, sotto l’occhio vigile di Steve Albini e qualche personaggio fricchettone che già me l’immagino raccontare della sua ennesima reincarnazione, avvenuta un giorno preciso della seconda metà di marzo, prima di cadere semi svenuto e fumatissimo con la bava alla bocca sul pavimento [se ancora non avete smesso di leggere siete proprio stoici, cazzo N.d.R]. Lo spirito di un disco nato dal fumo acido del cosmo. Elementare in modo quasi fastidioso. Ripetitivo e ossessivo, come tutte le cose firmate da Entrance. Disco che sarebbe piaciuto a Jim Morrison. Disco che, date le sonorità , poteva tranquillamente essere prodotto da una persona strana come Jeff Magnum (Neutral Milk Hotel, Circulatory System). Disco che rintraccia la mente di Johnny Cash e la stordisce di giri concentrici, cantilene e atmosfere nerissime. “Valium Blues” era presente anche su “The Kingdom Of Heaven Must Be Taken By Storm”, primo disco di Blakeslee; qui è ri-arrangiata in chiave molto più incasinata e lisergica, con tanto di violini maledetti, gitani e delay su tutto. A tappeto proprio. “Requiem For Sandy Bull” è una canzone strumentale di cui nessuno sentiva il bisogno, ma si può perdonare guardando la totalità di questo bel viaggio onirico. “Lost in The Dark” è la spiegazione del perchè Beirut non arriverà mai a tanta maledizione [Reach For The Light/ But The Switch Is Gone/ Well What You Gonna Do Now?/ Some Other Time Baby, Death Will Be Breathin’ Down Your Neck/ Respect].
Mi dispiace fratello. O ci nasci o sennò non ci diventi nero pece dentro. Al massimo arrivi a qualche sfumatura di quel grigio fumo di Londra, ma non è la stessa cosa. Puoi anche auto-spaccarti un sitar sulla schiena ma non ce la fai proprio. Sciamanico. Celebrativo. Ritmato come un rito voodoo brasiliano nei pressi della spiaggia (“Never Be Afraid”). Tanti galli sgozzati qui amico. “Never Be Afraid! When You Think About Death Every Morning Don’t You Ever Be Afraid!“. I violini. Continuano a suonare i violini. Quando una persona muore, muoiono con lui i pensieri, le sensazioni, la volontà e il suo alter-ego. Ecco che d’improvviso scompare la vita da sempre sognata ma mai raggiunta; e i momenti indimenticabili si mescolano in un vortice assieme a quelli più scuri. Comincia a fare davvero freddo. La vista si tinge di viola e l’autunno”…stride sempre di più.