Niente poesia da queste parti. Solo roba usa e getta unta e accartocciata (come troppe cose del resto ormai. Che tristezza”…). Benvenuta nella più metropolitana delle intuizioni. Non sei più una creatura libera, pronta ad abbracciare il vento, il tramonto, i profumi. E’ finito tutto dentro una gigantesca hype machine. Sai Brandon, il mio amico Stefano dice che siete la peggior band in assoluto uscita da anni a questa parte e che quando tiraste fuori un singolo come “Are You In?” lui era sul punto di sentirsi male, piegato in due sulla tazza del cesso. Io non lo so.
Non giudico fino al midollo osseo. Cioè, scrivo di musica praticamente da una vita ma credo di non aver praticamente mai scritto di musica in vita mia (si ok lo so, è un po’ annodato ma è così). Quindi insomma non sono io che giudico qualcun altro, ma siete voi musicisti, caro il mio Brandon a lasciar uscire fuori delle sensazioni. A me, ad Axel, a Fran, a Sachiel (beh Pamello no; Pamello mangia merendine, disegna faccine e basta”…) tocca solo constatare. La realtà è che non me ne frega proprio un cazzo ma mi ci trovo a farlo e lo faccio volentieri perchè così il mio cervello se ne va un po’ per la tangente ed è come se avessi fatto una decina di minuti di ginnastica. Insomma dai, non siete proprio la peggior band sulla faccia della terra. Però è fin troppo evidente che siete passati dall’essere una affascinante macchia oleosa musicale ad essere una rock band. Discreta. Niente sperimentazioni strane, troppe canzoni inserite nelle sempre più annacquate tracklist ed ecco che gli Incubus non reggono più “il discorso di un album” ma cadono nella trappola della band “da singoli”. Parliamo di “Light Grenades”, disco che si apre su un territorio sospeso, poco tangibile con i polpastrelli, per poi passare alla consuetudine (traccia numero due) fatta di delay, voce in perfetta armonia con la melodia, il tutto spazzato via in un secondo da “riffozzi americanozzi” che ancora fanno fatica a liberarsi del nu-metal e della rabbia accumulata per anni guardando i notiziari nazionali la sera. Questa è una produzione che non aggiunge niente a quanto la band non “abbia già detto” fino a “Morning View”. Ben suonato, ben prodotto, ma manca l’anima. Un bel salto in alto che però finisce con l’atterrare sul punto di partenza. Vi siete mai messi in un vagone del treno e guardando fuori dal finestrino vi sembrava di essere partiti finalmente, mentre era il convoglio a fianco al vostro ad essersi messo in moto? Beh, ecco. Qui non andate da nessuna parte. Boyd ha il timbro di voce sempre interessante e Mike Einziger usa le sue decine di chitarre con discreta intelligenza musicale, eppure il sound di quest’album, nel complesso, non si discosta poi molto dal rock del precedente “A Crow Left Of The Murder”. Diciamo che la sostanziale differenza tra “Light Grenades” e “A Crow”…” sta nel fatto che il precedente disco aveva dei singoli ben studiati ma le “gambe troppo molli” e alla lunga dietro “Megalomaniac” (buona), “Talk Show On Mute” e la title track, c’erano solo poche idee (figlie tra l’altro dell’abbandono di un musicista coi controcazzi come Dirk Lance, bassista dalle ottime visioni artistiche e da un’innata panzetta da sbevazzatore).
In questo album non ci sono vere e proprie “gemme” eppure la visione d’insieme risulta migliore, più omogenea (se si può parlare di omogeneità nel caso di una band che, per stessa ammissione dei componenti, sembra che faccia del tutto per far sembrare che 13 tracce le abbiano suonate 13 gruppi differenti”…). Ma non basta. Ci sono canzoni inutili come la marmellata alla fragola, come la numero 6, che o sono funk (hard funk si può dire?) o sono mezze punk ma tendenti al “drunk” (?!?) o insomma”…uno sconclusionamento a volte “buttato in caciara” e coperto dalle distorsioni. In compenso risulta buono il singolo per il lancio del disco, la traccia numero 4 (ok cazzo, scusate, a questo punto avrete capito che non ho i titoli sotto mano”…): rabbioso, riempito di rancore a dovere, un giro di basso insistente, un chorus ben costruito e dinamico, una chitarra elettrica che prende, per poi lasciare campo aperto a batteria e voce. Rabbia. Cosa comune. Cosa comune. Ultimamente. Niente assoluzione.
Questo cielo non era azzurro prima, figuriamoci adesso che la pasta nera in fondo alla vostra cazzo di prigione comincia a fare i grumi. Siete stati sempre ribelli; non esiste una mente che detta le regole e non esiste controllo imposto da nessuno. E’ così da sempre ma cercate anche un po’ di tenerezza. Allora basta: levate il disco degli Incubus dal lettore e uscite a farvi due passi senza pensare più a niente. Se qualcosa deve essere unto accartocciato e metropolitano tanto vale calpestarlo.