Al giardino spettrale al lauro muto
de le verdi ghirlande
a la terra autunnale
un ultimo saluto!
Dino Campana, Giardino autunnale.
Gente sbigottita nonchè depressa vaga per le vie ventose della città intabarrata in pesanti giacconi invernali. Disillusa si sperde avvolta in ampie sciarpe e con cappelli di lana colorata a cingere il capo. Telegiornali ansiotici sommergono di sbigottimento la popolazione con ampi e premurosi servizi, filmati ed interviste con i più lodati ed edotti esperti. Il solito istituto di ricerca inglese elabora l’ennesimo prospetto con previsioni di morti e distruzioni. Tutto ciò non è la conseguenza del precipitare della situazione mediorientale in un gorgo allucinato senza ritorno. No. Accade che la primavera arriverà con una settimana di ritardo.
Tutto sta, allora, nel preparasi psicologicamente a questo bruma fuori stagione, il gioco è tutto qua. Accantonate ancora per un po’ i Beach Boys ed i Mojave 3. Non rimane altro che far partire l’ultimo disco di Roger Quigley in arte ‘At swim two birds’, metà bucolica dei Montgolfier Brothers. Percorsi notturni, strade bagnate, uomini che ondeggiano nell’ombra, fumi e vapori, scie di sigarette strette di sbieco tra le labbra. Mani in tasca, profonda umidità ed un calpestio di foglie secche sono la compagnia perfetta di queste dieci canzoni autunnali. La voce di Quigley s’innalza severa e profonda, rincorre melodica gli arpeggi indolenti della chitarra. Come per un crooner di periferia che ha tentato la grande ribalta ma che alla fine non ce l’ha fatta, l’impasto vocale acquista quell’aura crepuscolare che lo caratterizza. Questo disco è un whiskey irlandese, penetrante e denso, che va assaporato poco a poco con sorsi dosati. Quigley avrà pensato quest’album in qualche lercio pub di Dublino, seduto nell’angolo più nascosto, tra profonde e lente boccate di sigaretta, lontano da sguardi indagatori e sospettosi. Ma proprio come quel whiskey le dieci tracce di questo ‘ritorno sulla scena del crimine’ vanno assunte a piccole dosi, con calma e rigorosamente di notte, quella profonda e livida; risulta pressochè impossibile ascoltare l’album nel mezzo di una mattinata: a metà disco le orecchie sature chiuderebbero i battenti ed il cervello andrebbe in letargo.
Il primo sorso, quello che spalanca le papille preparandole all’assuefazione, è eccellente; “In bed with your best friend” s’insinua indolente tra le pieghe dell’anima, la blandisce, la scuote e l’ubriaca di romanticismo. Peccato che non tutto l’album sia sostenuto dalla stessa tensione emotiva, virando nelle successive tracce verso un incedere più lento ed autocompiaciuto. Nel finale si riprende, là dove s’agita il fantasma di Morrisey, specialmente in “My luck is turning”. Alla resa dei conti, anche se appare chiaro che le composizioni e l’esecuzioni siano tecnicamente di prima qualità , manca un elemento essenziale: la leggerezza, fattore indispensabile per fare breccia. Comunque affrettatevi a sentirlo che tra poco arriva primavera. Quella vera e non avrete più voglia di immalinconirvi.