Una carezza o un sorriso non risolvono i problemi di nessuno, ma possono alleviare il dolore o le fatiche che la quotidianità ci offre inesorabilmente su un piatto d’argento. E’ un po’ come quando durante le fasi finali di una partita di calcio il difensore spara via il pallone dalla propria area difendendo il risultato e a sua squadra dall’assalto finale degli avversari. Hai semplicemente alleggerito il gioco, tirato un sospiro di sollievo e sei già pronto per una nuovo assalto a Fort Apache.
Dischi come questo servono soprattutto a raddrizzare l’umore e il peso delle cose che ci rendono le giornate difficili, e ancora una volta il tutto viene dalla fredda, ormai solo nel clima, terra svedese. E se ne sono accorti anche alla Sub Pop, divenuta la label dell’indiepop per eccellenza. Non è mai troppo tardi, per cui questo che in realtà sarebbe il penultimo disco dei Loney, Dear diventa praticamente il primo distribuito su scala mondiale: piccoli testacoda della discografia contemporanea. Quello che potrebbe diventare maniera o semplicemente opportunismo, qui non si avverte nemmeno lontanamente.
Ciò che traspare dalle dieci composizioni in scaletta è una sincerità assoluta ed un gusto spiccato per la melodia e i cori in falsetto, che rendono le canzoni molto più che un mero esercizio di stile. Dubbi legittimi del lettore attento e smaliziato da ascolti del genere potrebbero essere: dov’è l’originalità ? Perchè dovrei ascoltare proprio questi qui e non altre decine di band del genere? In effetti non credo di avere la risposta a portata di mano, non credo di poter spiegare bene perchè i miei umori e le mie orecchie mi stanno portando ogni giorno a metter su questo disco almeno una volta. Guardando fuori la finestra scorgo tra i tetti della mia città almeno lontanamente la voglia di uscire fuori e assaporare l’aria che si fa sempre più calda. E allora non faccio altro che infilare gli auricolari dell’ ipod nelle orecchie, far partire “Loney, Noir” e aggirarmi per le strade di una Napoli luccicante per la primavera, tra cori in falsetto, battiti di mani, chitarre solari, fiati e quelli che si definiscono ritornelli killer. Si, c’è proprio qualcosa in più del semplice pop da camera in questi solchi, e non so dirvi cosa esattamente. Sarà che ho un bisogno fottuto di un sorriso o di una carezza ideale per andare avanti, ma io trovo tutto questo indispensabile.