Quando Riccardo Sinigallia fa il suo ingresso sul palco in jeans e maglione verde elettrico, e si mette a suonare da solo ‘Finora’ al pianoforte, tutto verrebbe da pensare fuorchè ad una virata veementemente rock del resto del concerto. Ed invece così sarà , tra la goduria ed il tripudio dei pochi astanti. Dopo la prima esecuzione entrano uno ad uno i restanti membri della band: Daniele Sinigallia e Matteo Chiariello alle chitarre elettriche, Marco Rovinelli alla batteria ed un bassista extra lusso come Filippo Gatti, che con un berretto di lana blu in testa ed una fine barba nera ad incoronargli il viso sembra un incrocio tra Ernst Heminghway da giovane ed un Lucio Dalla dei tempi migliori. La strategia di Riccardo: creare il più bel suono ed andare dritto al centro di ogni singola nota, scomporla, levarle l’anonima forma e farla esplodere d’armonia. Infila meticolosamente perle nel filo teso tra le sue mani, fino ad ottenere una lucente collana, preziosa nella sostanza e semplice alla vista.
Che non è un concerto come gli altri lo si percepisce subito dal feeling che istantaneo s’instaura tra l’intreccio dei suoni e quello dei cuori. Ogni nota è suonata con la passione del musicista che sa che quello è il suo ultimo concerto e che di conseguenza vuole lasciare il più bel ricordo di sè. Il tutto è esaltato da un’acustica nettamente sopra la media rispetto ai non-luoghi addetti alle esibizioni live in quel di Partenope.
Ed è sintomatico dell’incultura musicale il fatto che debba essere la sala di un cinema ad offrire performance sonore degne di questo nome; fin quando la musica leggera verrà intesa solo come passatempo e non come arte le cose non cambieranno di certo. Ma come direbbe Carlo Lucarelli: “Però questa è un’altra storia”. Poche note di ‘Se potessi incontrarti ancora’ ed è subito rock, un’aggressione furiosa come neanche l’ Orlando, un crescendo vertiginoso con tutti a seguire la strada illuminata dal potente picchiettare del pianoforte. La lunga coda psichedelica fa circolare il sangue con fragore nelle vene. Prima di abbandonare il pianoforte, Riccardo cesella altre chicche tratte dall’ultimo album e con ‘Amici nel tempo’ continua a stupire chi s’aspettava il solito concerto del solito cantautore dai toni pacati. Come sempre i suoni che vengono fuori sono limpidi e perfetti, grazie all’orecchio sensibile di chi si è costruito la propria credibilità nella ricerca di sonorità fuori dell’ordinario. L’armonia tra i membri della band incanta, con inserimenti chitarristici sempre tesi, in continuo dialogo elettrico tra loro. ‘La revisione della memoria’, pezzo tratto dall’album d’esordio, inaugura il cambio di strumento di Sinigallia, che imbraccia una chitarra acustica, sempre rannicchiato su di uno sgabello che fatica a contenere la sua energia. Ed è ancora rock, tirato, emozionale, un rincorrersi tra chitarre e basso, con uno straripante Canini a rullare e picchiare alla batteria. In certi tratti ricordano alcuni crescendo degli Spiritualized, un’onda sonica inarrestabile.
Una dopo l’altra scorrono le gemme contenute nell’ultimo disco, da ‘Anni di pace’ dove finalmente sentiamo la meravigliosa voce corretta al cognac di Filippo Gatti, fino a ‘Uscire fuori’ in versione stoner, ruvida, inquieta, una freccia diretta al centro della carne. Più lo ascolto e lo osservo, più mi viene in mente l’irruenza del ghepardo, elegante nell’esplosione muscolare, deciso, micidiale senza esitazione, ipnoticamente devastante. In mezzo cà pitano anche l’arpeggio di ‘Bellamore’, ballata tutta sbuffi e sospiri, ‘Una canzone per Fede’, che si fa strada tra note di cristallo, e ‘La descrizione di un attimo’ deliziosa canzone mandolinata che scrisse a suo tempo per i Tiromancino. ‘Buonanotte’ sembrerebbe il commiato da Napoli con i membri del gruppo che escono uno alla volta dopo una lunga jam session psichedelica. Inevitabile il ritorno. Ineluttabile l’ennesimo trasalimento. ‘Il nostro fragile equilibrio’ e ‘Lontano da ogni giorno’ calano il sipario.
Come al solito quando il rock chiama Napoli non risponde. Deprimente è vedere che in una sala da 358 posti solo una sessantina di questi siano occupati. Ma come disse una persona molto più saggia di me: “Non servono grandi folle per grandi concerti”. Sottoscrivo in pieno.