Uno schianto senza precedenti. Un incidente mortale di colombe. Tu continui a piangere piume e il mondo decide improvvisamente di fregarsene di tutto per poi ricominciare a girare al contrario. Era ora. Da anni aspettavo di vedere le cose in questo modo”…bastava solo voltarsi dall’altra parte e scorrere all’indietro. E’ Pasqua e non nego che mi dia anche un po’ fastidio il fatto che le suddette colombe se ne sbattano altamente che questa band di Chicago sia riuscita a tirar fuori un disco bellissimo. Loro (le colombe) se ne stanno sui fili dell’alta tensione.
Alzano il becco verso il cielo. Ogni tanto cagano ma niente di più. I Race dopo il tour del 2004 erano sull’orlo di sciogliersi: uno se n’era andato verso sud, l’altro aveva detto “Fanculo con voi non gioco più” e si era ripreso pure il pallone, quell’altro ancora aveva deciso di suonare le ultime due cosette e poi vedersi gli affari suoi e bam. Niente più band. Poi improvvisamente Craig Klein tira fuori venti canzoni, riattacca con lo scotch i membri ai loro rispettivi strumenti ed ecco qua un disco che potete metter su per far colpo su qualcuno. Elettronica vintage, drum-machines d’avanguardia e qualche raffinato lavoretto di Synth a riempire un’idea new wave oscura e psichedelica.
Rock contaminato (once again, ladies and gentlemen). Un bel bagno nel vino, roba che rischi che anche le foglie sugli alberi diventino nere. Atmosfere e voce cupa, riverberi e un sound sparato a migliaia di chilometri di distanza. Lontano lontano, a ghiacciarsi le palle ai poli per poi tornare come un eco maledetto. Niente magie strane. Il solito supporto ottico, il solito metodo di bruciatura, Pit/Land: dove il raggio trova la sequenza dice “UNO!”, quando il raggio non trova la sequenza urla “ZERO!””…ma voi ve ne sbattete di tutto questo e fate bene. Voi dovete solo pensare”…cazzo figo sto disco, sembrano gli Interpol persi e perversi dentro l’elettronica. Gente che si è fatta due palle così ad ascoltare stridente roba shoegazer e poi ha deciso di dargli un tocco di romanticismo maledetto. “The Shortest Way To China” è la nebbia che anche sotto pasqua cercavate e la title track vi convince definitivamente che avete fatto bene ancora una volta a seguire i nostri con(s)igli. Poche storie dudes”…fuori la grana.