Potrei liquidare questo disco in tre righe, ricordandovi semplicemente di andare a spulciare la mia recensione dell’album precedente di Rosie Thomas apparsa su Sullivan street records due anni fa. Potrei scrivere nuovamente che queste canzoni mi ricordano il legno che scricchiola, e la tranquillità , purtroppo solo immaginata, delle piccole città americane di campagna. Non quelle dimenticate da Dio, ma quelle rassicuranti, piene di verde e di villette dai colori chiari e costeggiate da stradine da percorrere in bicicletta.
Tutto questo semplicemente perchè la cifra stilistica non si sposta di una virgola: soffici canzoni folk sussurrate e accompagnate da una chitarra acustica, un pianoforte e archi. Un disco come tanti ma, come sempre accade per questa fragile cantautrice, meglio di quasi tutte le uscite discografiche del genere. Forse è merito anche delle collaborazioni eccellenti, tra cui spicca il nome di Sufjan Stevens, oltre che al solito Damien Jurado e a Denison Witmer, di cui avete letto quelche mese fa su queste pagine, fatto sta che mi ha conquistato di nuovo. Io ci casco sempre con lei, sono un recidivo, ma se si apprezzano certe sonorità carezzevoli e allo stesso tempo pulsanti di linfa vitale, non si può restarne indifferenti.
Poco più di mezz’ora di scaletta, dieci canzoni una più riuscita dell’altra, tra cui la cover dei R.E.M. “The One i love” e quella dei Fledtwood Mac “Songbird”. Aggiungeteci il duetto con il buon Sufjan di “Say hello”, e poi fatevi i calcoli, decidete se vale la pena affondare le vostre orecchie in un disco davvero come tanti, ma sicuramente meglio di molti. E’ la vostra strada di casa, sempre la stessa, ma oggi è piena di alberi in fiore, oggi è diversa, è meglio di come è sempre stata fino ad ora. Prendete la bici e percorretela fino alla fine.