Di notte si fanno strani incontri.
Stretto nell’arsura estiva di luglio, l’altra sera decido di bere una sana e rinfrescante birra ghiacciata insieme al solito manipolo di fedelissimi al seguito. Compro la suddetta bevanda ambrata e trovo un posticino sul muretto per sedermi. La folla di giovani è consistente e nella selva della piazzetta gironzolano indisturbati alcuni cani. Uno di questi ha la brillante idea di venire a strusciarsi tra le premurose mani della mia vicina di muretto. Tempo trenta secondi e la fanciulla inizia ad attaccare una pippa al limite tra la paranoia settaria tipo Scientology e certo misticismo da supermarket stile anni ’60 in pieno trip da acido. “A casa ho tre cani”, interessante penso tra me e me, “E grazie a loro comprendo l’essere”, vabè è andata, ripenso tra me e me. Cercando di mantenere una postura che dissimuli il mio totale disinteresse a ciò che dice, e muovendo ritmicamente la testa seguendo uno schema pop da 4/4 spengo la fase recettiva del cervello e accendo quella juke-box musicale. Ed è in questo momento che parte l’album dei ‘The Lodger’. Puro distillato di Brit-pop, quello che un tempo facevano di prima qualità in terra d’Albione, figlio di Smiths e Blur, tanto per citare due illustri progenitori. Musica emozionante e profonda, agrodolce come le brumose giornate inglesi, che profuma di umori adolescenziali, ma neanche tanto, che abbraccia con tutto il suo splendore le stradine illuminate dal tiepido sole pomeridiano. Sale forte il sapore d’estate, la leggerezza che s’insinua benevola dappertutto, bagnasciuga, sguardi e voglie che s’intrecciano iperveloci, le notti infinite. Ben Siddal sforna un album straordinario, uno dei migliori di questa prima metà d’anno, suonando con classe e incisività (‘Not So Fast’), mettendo sogni pop (‘A Free Period’) e gentilezza rock (‘Kicking Sand’) avanti a tutto, non avendo paura d’essere sentimentale, anteponendo la sofficità melodica dinanzi ad ogni sorta di spacconeria. Un disco che emana l’effervescenza e la voglia delle serate al mare, le particelle leggere dell’aria spensierata, delle magliette che si appiccicano addosso, del romanticismo improbabile altrimenti. Non c’è una canzone fuori posto, ogni pezzo compone il mosaico in maniera perfetta, e nonostante ciò, ogni brano ha tutte le potenzialità del ‘singolo’. Ed ascoltare ‘Grown-ups’ è come affondare la mano in un sacchetto pieno di bon bons: qualsiasi cosa verrà fuori sarà buona e darà piena gioia appagando ogni golosità . Le pastose trame chitarristiche si aggrovigliano alla perfezione con la voce gentile di Ben, ottimamente sorretto da linee di basso mai banali e da una batteria in continua evoluzione ed egregiamente suonata da Katie James.
“No, dico, ma mi stai ascoltando?”
“Cos’ ?”
“Dicevo, i cani, il cosmo, lo spirito universale…”
“No, scusa, io odio i cani…però mi piace la birra. Anzi, facciamo così: me ne vado a prendere un’altra, eh. Tu aspettami qui”. E via di corsa nella notte…..
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