Un indie rocker americano in Scozia
Noi bloggers siamo vaccinati a questi dischi, sapete bene a cosa mi riferisco. Chiamatelo come volete: blog claim, buzz marketing o semplicemente passaparola; quando un disco è pompato dai blog di mezza blogosfera, va peso con le molle. E’ il caso di Voxtrot, il debutto omonimo del tanto vociferato gruppo di Austin, Texas. A dire il vero, la band di Ramesh Srivastava qualcosa di buono per meritare tutta questa popolarità l’ha fatto. Precedentemente all’esordio, nei negozi in questi giorni, sono usciti gli ottimi Ep “Raised by Wolves” e “Mothers, Sisters, Daughters & Wives”, sotto licenza Cult Hero la loro etichetta personale.
“The Future Pt. 1”, con quel ritornello killer, e “Real Life Version”, melodica ed impreziosita da archi e piano, sono gli esempi più calzanti di un suono fortemente rivolto a Glasgow nell’estetica e nell’attitudine alla malinconia. E’ bello constatare come questo sentimento, che ha stregato tanti musicisti, non passa mai il segno dell’autocommiserazione o del vittimismo, mantenendo così tutto il suo potenziale espressivo e comunicativo.
I Voxtrot, difettano forse nell’originalità , ma hanno il pregio di riuscire ad incarnare allo stesso tempo le diverse anime di Glasgow (bè, non proprio tutte ad esempio non aspettatevi il post-rock dei Mogwai o il pop da classifica dei Travis, ma se siete qui, capite benissimo a quale Glasgow mi riferisco). Nel disco sono sapientemente dosate l’acusticità agrodolce dei Belle & Sebastian, l’urgenza esplosiva dei Wedding Present, perchè twee pop non è solo romanticismo, è la fantasiosità melodica degli Orange Juice.
Non ci rivedo molto gli Smiths, la band di Morrisey è si un riferimento, ma indiretto. Diciamo che tra i Voxtrot e gli Smiths c’è almeno un grado di separazione e l’anello di congiunzione è appunto il gruppo di Stuart Murdoch. Il background cultural musicale di Ramesh Srivastava, e tutto il suo amore per il twee pop, gli deriva dagli studi completati a Glasgow. La passione è poi, ovviamente, passata ai Voxtrot per osmosi.
Un’ultima menzione è per la label che si è accollata la pubblicazione del disco: la Beggars Group. Onestamente conosco molto bene la Beggars Banquet records, ma del gruppo Beggars non avevo mai sentito parlare. Dal sito vengo ad apprendere che di fatto trattasi di una specie di consorzio musicale che include, cito: Beggars Banquet Records, 4AD Records, Mantra Recordings, Mo’Wax Records, Nation Records, Too Pure Records, Wiiija Records and XL-Recordings.
Molto interessante.
Dire che di dischi così se ne sentono a bizzeffe sarebbe una crudele menzogna, non andiamo comunque oltre al buon disco, piacevole ma manierato. Ascolti che trasportano e coinvolgono, ma non arriveranno molto oltre che ad un piccolo culto di fan, ma non è un male, i “best kept secrets” si lasciano amare più facilmente.
Recensione dei Voxtrot precedentemente pubblicata su IndieRiviera