STAGES
TERMINAL O: THE SUNDAY DRIVERS, JAMES, THE JESUS AND MARY CHAIN, KAISER CHIEFS
TERMINAL E: BADLY DRAWN BOY, DJ SHADOW, AIR, CHEMICAL BROTHERS
TERMINAL S: THE HOURS, PERRY BLAKE, SOULSAVERS, JARVIS COCKER, THE GOSSIP, OMD, !!!, FELIX DA HOUSECAT
TERMINAL N: HOW I BECAME THE BOMB, MIQUI PUIG & EL CONJUNTO ELECTRICO, MY BRIGHTEST DIAMOND, DRAGONETTE, THE TWANG, ELECTRELANE, RATATAT, RIOTOUS ROCKERS, THE GLIMMERS
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Dopo l’annientamento fisico della prima giornata e vari inconvenienti notturni ( tentativi di furti di portafogli sventati a suon di calci ), per il secondo giorno del Summercase decidiamo di prendercela con più calma. Questa decisione comporta però delle pesanti rinunce: la prima a cui siamo costretti è quella di Badly Drawn Boy, il cui live viene scioccamente programmato alle 19,55, vale a dire in primissima serata, quando si sarebbe tranquillamente potuto svolgere più tardi magari su un palco più piccolo come il Terminal N.
Vabbè, comunque arriviamo in tempo per vederci i mitici James.
Inserire una band britannica dalla carriera quasi ventennale , all’interno di un festival rock, equivale al più classico dei “successi assicurati”. Centinaia di concerti ogni anno, presenze obbligate su stage di mastodontici avvenimenti di casa quali il V2, Reading, Glastonbury ci consegnano infatti un gruppo capace di tenere il palco con naturalezza impressionante ed una vitalità fuori dal comune. Insomma non esiste dubbio alcuno sulla buona riuscita di una loro qualsiasi performance.
Stanchezza e appagamento sembrano termini non presenti nel loro vocabolario, i James potrebbero rimanere lì ad intrattenere per ore, respirare ed esibirsi ormai sono la stessa cosa.
La loro apparizione barcellonese è un occasione per recuperare le migliori istantanee, recentemente raccolte nel best “Fresh As Daisy: The Singles” .Classici quali “Sit Down”, “She’s A Star”, “Come Home”, “Laid” mandano in visibilio un nutrito pubblico, formato da appassionati britannici birra-muniti, ma non solo.
C’è anche il tempo per una canzone nuova, anzi no.
Non si trova il foglio con le liriche ma niente drammi, Tim Booth scatta in una sonora risata e attua l’inaspettato cambio di programma con notevole disinvoltura. Si attacca allora con il primo brano recuperato a caso dalla sterminata discografia del gruppo, tutto come se niente fosse.
La fatica che facciamo per muoverci da uno stage all’altro, oltre a darmi l’impressione che oggi il pubblico sia decisamente più numeroso, ci permette di seguire una parte dello show dei Soulsavers.
Qui a differenza del precedente palco però la presenza di pubblico è decisamente inferiore.
Sotto il tendone, non fa ancora eccessivamente caldo, la facilità con cui riusciamo a raggiungere un’ottima posizione di ascolto e visione, ci fa pensare che da queste parti, scarseggiano fans di Mark Lanegan.
Ma non è solo questo e ce ne rendiamo subito conto.
L’esibizione dei suoi Soulsavers risulta essere infatti piatta, decisamente monocorde, forse fin troppo raccolta e quindi stonata se inserita in un contesto festivaliero composto da fragorose parentesi stadium rock e bolgie elettroniche. Prendiamo atto quindi di quanto molti, prima di noi, avevano realizzato disertando di fatto questo appuntamento: un fumoso e piccolo club o ancora meglio un teatro trasformato in “indie-venue” sono e rimangono l’habitat naturale per questa band, un festival come il Summercase no.
Abbandoniamo allora il terminal S senza troppo rammarico, ci torneremo poco più tardi per gustarci Mister Pulp.
Tornati sui nostri passi non appena conclusa la nostra prima pausa di questa ennesima maratona, ora sgomitiamo di brutto a destra e a manca, manco fossimo in Curva Sud e Totti stesse alzando a pochi metri da noi la Coppa dei Campioni, recuperiamo le primissime file del Terminal S, il celeberrimo tendone tropicale di cui si è già detto. Sono da poco passate le 22 e sul palco fa la sua comparsa Jarvis Cocker. Stilosamente 70’s come sempre, Jarvis offre ai presenti uno show che stupisce per entusiasmo ed energia, un live che dà ai pezzi dell’omonimo esordio solista una carica rock che dal vivo ha tutta un’altra resa che sul disco. Salta, balla, sale sulle casse e coinvolge un pubblico che, pur rischiando la disidratazione per il caldo infernale, assiste eccitato alle performance di un pezzo della storia del pop rock inglese.
La hit ” Don’t Let Him Waste Your Time ” arriva quasi subito per la felicità di tutti, i Pulp sono completamente assenti ma il finale ha in serbo una chicca del tutto inaspettata: la cover di ” Eyes Of The Tiger “. Si, proprio quella di Rocky”…rispetto per Jarvis!
Una mezz’oretta dopo il signor Cocker, sotto lo stesso emisfero tropicale ci saranno i Gossip, ma poichè il sottoscritto li ha già visti dal vivo e il buon Axel non è che li ami poi tanto, preferiamo muoverci verso l’anfiteatro ““ Terminal E per cogliere gli ultimi cut & paste del live di Dj Shadow.
Dai buoni 20 minuti che siamo riusciti a vederci ed a differenza dell’assai mediocre show proposto la scorsa estate al Rock En Seine, stavolta il suo live è stato di ottimo livello. Poca roba cantata, più sprazzi electro e dance e una gran chiusura con ” What Does Your Soul Look Like ”
dal seminale ” Endtroducing “.
Neanche il tempo di rifiatare che sullo stage O iniziano a suonare Jesus & Mary Chain. Uno dei live che attendevamo con più ansia si è rivelato quello più deludente. Pur se i pezzi storici ci sono più o meno tutti ““ da ” Some Candy Talking ” a ” The Living End ” all’inevitabile ” Just Like Honey “”“ è incredibilmente mancato il marchio di fabbrica della band: quella marea di feedback che inondavano il loro suono, in quest’occasione inspiegabilmente ripulito e fiacchissimo.
La mazzata si fa sentire e pieni di mesta delusione ce ne andiamo a bere un paio di birre sul prato, una lingua di terra verde affacciata sul porto. Qui scopriamo che se noi affoghiamo la tristezza nell’alcool, buona parte del pubblico fa lo stesso munendosi però di schede telefoniche e banconote arrotolate, con buona pace della security che assiste falsamente distratta a questa immensa apologia della polvere bianca.
Altra birra per onorare il live delle Electrelane, gruppo tutto al femminile che attendevo di vedere da anni, precisamente dall’uscita del capolavoro ” The Power Out “. Da poco tornate in pista con l’ultimo convincente ” No Shout, No Calls “, il pastiche kraut della band dal vivo è ancora più devastante: le lunghissime cavalcate per piano e distorsioni che si alternano agli episodi più intimi contenuti nell’ultimo lavoro mandano in visibilio un pubblico ristretto ma composto da veri fan della band. L’unica nota negativa è stata forse quella di dare poco spazio ai pezzi di ” The Power Out “, ma per il resto il loro è stato uno dei concerti migliori dell’intero festival, tanto che preferiamo vedercelo quasi completamente piuttosto che muoverci in tempo per assistere dal prinicipio allo show degli Air nell’anfiteatro.
Nicolas Godin e Jean-Benoit Dunckel riempiono totalmente l’arena, costringendo i ritardatari come noi a seguire il live appollaiati su un corrimano da una distanza siderale. Il loro live scorre via senza infamia e senza lode, certamente impreziosito dalle hit ““ su tutte ” Kelly Watch The Stars “”“ che vengono in aiuto nei momenti più asettici del concerto. Forse avevo delle aspettative eccessive, ma onestamente il live dei francesi mi è parso poco più sufficiente e a fine show la sensazione diffusa era che probabilmente avremmo fatto meglio ad andarci a vedere gli Orchestral Manoveur In The Dark, che suonavano più o meno in contemporanea.
Il successivo live di cartello è quello dei Kaiser Chiefs, i quali non fanno in tempo a cominciare che già ci hanno annoiato a morte. Di fronte a migliaia di persone impazzite ( “… ) questi quattro dementi autori si e no di qualche buon singolo propongono uno show che, credo, nelle loro intenzioni dovrebbe essere molto rock & roll ma che, nei fatti, sfiora il ridicolo tanto sono deboli i brani proposti e tanto il cantante scimmiotta le ” indie star ” sue ( degne ) conterranee. Resistiamo forse per 5 minuti e poi preferiamo tornare sul prato, dove le schede continuano a scintillare e le banconote ad essere arrotolate, per godere un meritato riposo prima dei !!!. Che dire che hanno spaccato è dire poco.
Già visti e apprezzati ai tempi del tour che promuoveva l’esordio ” Louden Up Now “, i Chk Chk Chk, folle combo di Brooklyn accasatosi alla Warp, infiamma il tendone tropicale con uno show ultrafunk, forte del materiale del nuovo ” Myth Takes “, di una netta maturazione dal vivo e soprattutto della presenza di un’incredibile cantante di colore di cui non ricordo il nome.
Sudore black e taglienti spigoli punk funk, per quasi due ore il Terminal S si trasforma in uno di quei loft newyorkesi dove nei primi 80’s i Dj’s spingevano mutant disco a rotta di collo; la gente balla ovunque, fino a 20 metri di distanza, piena d’ecstasy o lucidissima non fa differenza: ora capisco che cazzo vuol dire far ballare la gente col funk bianco!
Nonostante alle 3,30 fossero iniziati i Chemical Brothers, non c’è uno dei presenti che si sogna di lasciare il Terminal S per seguire la performance degli inglesi. Anche gli stremati Helmut e Axel sparano le loro ultime cartucce dentro quella fornace, unendosi al resto del pubblico nella venerazione del suono dei tre punti esclamativi.
Se gli Air avevano riempito il Terminal E, i Chemical Brothers riescono a fare di più ( vedere i video per credere ) : non meno di 20 mila persone dislocate dappertutto, sui muri, sui prati, in piedi sui bagni chimici, perfino sugli alberi. Io mi spingo fino alla metà della collina, in posizione più che precaria, Axel, distrutto, stavolta cede il passo e rimane in piedi parecchio indietro.
Visto il livello di stanchezza, non è che abbia vissuto il concerto con la partecipazione che avrei voluto, tuttavia quel che mi è parso chiaro è che i due abbiano puntato moltissimo sull’ultimo ” We Are Night ” tralasciando le cose del passato, che pure ci sono e fanno fare headbangin’ a tutti ( ” Hey Boy, Hey Girl ” ). Il set, reso decisamente più suggestivo dalle proiezioni sui maxi schermi, vira sovente verso lidi più techno a scapito del tipico suono electro rock del gruppo, ma alla fine si balla di gusto, come d’altra parte non poteva essere.
Alle 4,45 circa gettiamo la spugna e salutiamo Chemicals e Summercase, dirigendoci verso l’uscita, sospinti dalle note di ” Beautiful People ” di Marylin Manson ( ? ) che fuoriescono dagli altoparlanti del Terminal S dove stanno girando i dischi di Felix The Housecat.
Ci aspetta il solito fantastico e rilassante passeggio di circa 3 km per raggiungere la metro, il ritorno in appartamento ed un aereo da prendere alle 8,15.
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