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Sembra che anche il clima vada in ferie, per poi ritornare al lavoro diligentemente. Gioioso ed energetico ad agosto, mesto ed ingrigito a settembre. Neanche un mesetto fa desideravo vivere in una cella frigorifera in riva al mare, che ora già inizia a tirare quel mortifero vento freddo dalle steppe russe presagio di sciarpe e cappotti. Come se non bastasse, aprendo i giornali si scorgono le prime pubblicità delle collezioni invernali. Insomma la vita, per chi non l’avesse capito, è difficile. Per noi vecchi affezionati al cambio di stagione più o meno graduale vengono in soccorso dischi come l’ultimo dei ‘The Coral’, direttamente dalla città più pop del pianeta, Liverpool, non foss’altro per il fatto che da quelle parti strimpellavano certi Scarafaggi anzichenò baronetti di sua maestà . Giunti al loro quinto album, i sette inglesi hanno ancora forza e voglia di tirare fuori melodie pop tinteggiate di malinconia folk. E a dire il vero stavolta si affidano all’esperienza compositiva acquisita nel corso degli anni, più che a vampe di genialità improvvisa. Un sano lavoro di artigianato pop si addensa tra i fumi musicali di ‘Roots and Echoes’ laddove spuntano piccole gemme come la solare ed irresistibile ‘Jacqueline’, spensierata come il vento d’estate, o come nella rutilante ‘Remember me’, accattivante come poche. A sentire il frontman James Skelly stavolta il loro sguardo ha virato prospettiva e da un approccio freak alla Captain Beefheart sono passati ad un atteggiamento più vicino ai modi melodici perfetti in pieno stile Bacharach (sentire ‘Put The Sun Back’ per credere). Ed il cambiamento è innegabile, ma soprattutto balza subito all’orecchio grazie anche ad una incredibile capacità compositiva frutto di tutte le esperienze passate, delle gioie (vedi l’incredibile successo di ‘Magic and Medicine’) e delle piccole battute a vuoto. Per l’occasione si sono scomodati addirittura gli Oasis, che hanno concesso loro di registrare l’album presso il proprio Wheeler End Studio. La voce di Skelly ammalia e seduce come sempre, in bilico costante tra profondità à la Jim Morrison (‘Fireflies’ pare una b-side dei Doors) e levità da California fine anni ’60. Certo amore per quelle sonorità è rimasto (vedi l’indolenza acustica da tramonto al mare di ‘Not so lonely’) ma soprattutto l’eclettismo nel maneggiare assieme country, psichedelia e rock classico, che ne fanno ormai un punto di riferimento costante nel panorama inglese. Un disco questo che si lascia apprezzare sulla lunga distanza, grazie anche ad un bel lavoro negli arrangiamenti e nella calibratura tra le varie componenti (‘Rebecca You’). La visione prospettica nel creare un piccolo classico duraturo nel tempo ed al di là delle mode traspare nitida e forte stavolta. Allora poco importa se purtroppo gli capita di fare da spalla alle conterranee Scimmie Artiche, quando invece dovrebbe essere il contrario. Alla lunga il nome che resterà sarà quello candido dei Coral e del loro talento melodico. |
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