Ragioniamo per assurdo: se esistesse un Dio dell’hip-hop, questo avrebbe scelto come suo avatar terreno Madlib. Riguardo ciò non ho dubbi. Quindi con immenso piacere mi avvicino all’ultima fatica sfornata da quel mostro di Otis Jackson jr, i capitoli tre e quattro della serie “The Beat Konducta” (già uscita in vinile ed ora ripubblicata in cd) riassunti sotto il titolo di India. Si capisce bene il perchè: esattamente come il fratello Oh No, Madlib si è invaghito di suoni e ritmiche orientali ed ha deciso (dopo un bel viaggio speso tra templi indù, charas, santoni, Bollywood e negozietti di dischi locali) di raccogliere un po’ di materiale, campionarlo, ritoccarlo e rielaborarlo sotto forma di ipnotiche e massicce basi hip-hop (sempre e comunque secondo il suo stile eclettico, psichedelico, indipendente e creativo ai massimi livelli).
“The Beat Konducta Vol. 3-4: India” è il risultato, il fratello minore dei volumi precedenti (raccolti sotto il nome di “Movie Scenes”); minore non soltanto perchè arriva dopo, ma anche perchè è semplicemente meno bello. Dispiace dirlo, ma è così: il nostro si è impigrito un po’ e, nonostante l’ottima scelta di campionamenti di valore, ha fatto veramente poco per raffinare il suo cocktail hip-hop etnico. Insomma ha scelto sampler eccezionali, ma si è limitato a buttarli giù senza tanti ritocchi: manca quindi la vena geniale che precedentemente faceva sobbalzare dalla sedia ad ogni pezzo.
Questo disco comunque non è una schifezza, assolutamente no: perfetto per ballare e per sballarsi, fortunatamente lontano da certi clichè indiani sfruttati largamente da Timbaland (ma purtroppo lontano anche da altri meravigliosi trip-hop esotici di Nitin Sawhney o downtempo orientali degli Jah Wobble’s Invaders Of The Hearth).
Certe volte mostra soluzioni veramente interessanti ma si ferma lì. Spesso poltrisce su se stesso, non ha la continua strabiliante potenza ritmica e neppure la stessa capacità di trasportare continuamente l’ascoltatore sulle sue note, il potere di astrazione che aveva “Movie Scenes”. I tocchi di classe non mancano: “Enter”… Hot Curry” che parte gansta e sfocia in un cadenzato hip-hop indù, l’incedere sommessamente inquietante di “Raw Tranquillity Pt. 3”, i giri armonici coniugati ad un battito classicissimo in “OnThatNewThing”, la schizofrenia cinematica di “The Rumbe”, il misticismo un po’ facile ma affascinante di “Dancing Girls Theme”, il funk atipico e distorto di “Early Party”, i suoni psichedelici e quasi in levare di Indian Bells, il lirismo oscuro che pervade “Duel”, la perfezione raggiunta col mood di “Smoke Circe” o il riverbero infernale che chiude “No Sitar (Outro)” e quindi tutto il disco”…
Eppure non ci si può accontentare, dal geniaccio di Oakland è lecito aspettarsi di più.