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Tra registrazioni a cazzo prese in giro per concerti in ogni dove, video, uscite più o meno limitate in 12″ e cose così, è quasi ridicolo parlare di primo disco di Magik Markers, specie nell’epoca del tutto reperibile ovunque in rete a costo zero. Sta di fatto che per la prima uscita “ufficiale” su Ecstatic Peace il gruppo di Brooklyn ufficializza la sua attuale line-up composta Da Elisa Ambrogio alla chitarra e Pete Nolan alla batteria (quest’ultimo una sorta di prezzemolo del giro avant/noise del nordest degli Stati Uniti, tipo un Chris Corsano in piccolo e solo un poco meno bravo). Il distacco dalla bassista Leah Quimby (l’elemento più educato del gruppo nei concerti della prima fase) non ha tuttavia portato ad una definitiva canonizzazione del suono sgangherato di Magik Markers; con gli occhi di mezzo mondo puntati e la sponsorizzazione di qualsiasi illustre abbia mai messo becco in queste cose (Thurston Moore in primis, ovviamente, che probabilmente non venderà mai più così tante copie di un disco della sua etichetta), Magik Markers inventa zitto zitto una propria via al pop fatta di chitarre più o meno random che lanciano feedback (non così) fastidiosi su un tappeto ritmico che -non fosse così ben suonato- sembrerebbe uscire pari pari da un disco minore Rough Trade primi ’80 e delle parti vocali che stanno da qualche parte tra Karen O, Young Marble Giants e Young People. Considerando il solo valore assoluto della proposa si tratta di un segnale importante, quasi capitale, di una nuova sensibilità o insensibilità della musica popolare contemporanea, che prende formati più o meno a caso in giro per il postpunk e li risputa fuori in una lingua che qualsiasi fanatico di musica indipendente possa comprendere ed apprezzare, tipo il disco ADSL-pop* del mese o dell’anno e senza colpo ferire uno sleeper garantito nelle playlist di fine dicembre. Il problema se mai è un altro: chi ha visto Magik Markers in uno qualsiasi dei numerosi concerti che la band ha fatto in giro per il mondo a seguito dell’ingigantirsi della sua fama di next big thing non potrà sentirsi altro che fregato da cima a fondo in mezzo ad una pletora di canzoncine che non risaltano e non graffiano nemmeno per un minuto e continuare a chiedersi dove sia finita di preciso quella chitarrista che rompeva le corde del suo strumento al primo pezzo e si metteva a fare a cazzotti con le prime file mentre l’amplificatore rendeva impossibile respirare l’aria del locale a forza di feedback. Ognuno avrà i suoi Magik Markers, supponiamo: i nostri a questo punto se ne sono spariti da un pezzo e chissà quando potremo rivedere un gruppo del genere in giro per i festival. *ADSL-pop è quello che viene erroneamente e ormai comunemente identificato come indie-rock, più o meno. |
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