La definizione di “horror vintage” è sicuramente la più adeguata per definire il nuovo film di Pupi Avati, tornato all’horror, il suo primo amore, dieci anni dopo L’arcano incantatore. Le atmosfere restano le stesse di opere precedenti come La casa dalle finestre che ridono, e pure se cambia l’ambientazione ““ dall’Italia agli Stati Uniti ““ anche questo film si svolge in provincia. Anzi, se possibile il set della cittadina dello Iowa aumenta quel senso di gotico (nelle linee del celebre quadro di Grant Wood) esemplificato dalla Snakes’ Hall, dimora in cui si svolge gran parte de Il nascondiglio, vera e propria casa sulla collina e tipica Haunted House, luogo ricorrente della narrativa di genere.
Per questo la definizione “vintage” trova una precisa collocazione, perchè il film di Pupi Avati sembra davvero appartenere ad un’altra epoca cinematografica, molto più vicina alle pratiche degli anni settanta che non a quelle contemporanee: ha piuttosto le sembianze di un singolare ed inconsapevole lavoro filologico sui modi e sui tempi della paura, realizzato con la perizia di un artigiano.
La sensazione di un film passato non la danno tanto gli arredi antichi e pesanti, o l’abbigliamento austero e demodè di Laura Morante, ma soprattutto il ricorso del regista a maestranze di lunga esperienza, come il contributo di Riz Ortolani alle musiche, vecchia gloria del giallo/horror italiano. Contrariamente alla tendenza del nostro cinema, che insegue un’autorialità spesso pretestuosa, Pupi Avati sfrutta il credito del suo nome e si permette di girare un film che non solo è dichiaratamente di genere, ma addirittura scava proprio nei suoi luoghi comuni e nei suoi codici, mostrando una profonda conoscenza del meccanismo.
Il nascondiglio non ha nessun effetto speciale e mostra pochissimo sangue, si limita ad usare la borsa dei vecchi trucchi, tra luci che vanno e che vengono, pareti che ballano e voci infantili che si odono attraverso i muri, fino al dettaglio dell’ovale di legno che rotola dal grande scalone buio, richiamo esplicito a Shining e ad ogni film con protagonista una casa “viva”. Per questo conserva una bellezza insolita, quasi polverosa, come i mobili imballati della Snakes’ Hall, luogo inquietante sin dalla prima apparizione (e ovviamente la donna andrà a viverci attirata dall’affitto incredibilmente basso, altra situazione tipo”…)
Colpisce per il modo in cui ogni dettaglio predichi umiltà , tanto da far stonare la voce troppo accademica ed esagitata di Laura Morante, e come il film punti non tanto alla sorpresa, quanto alla costruzione dell’atmosfera, tralasciando del tutto la verosimiglianza dell’intreccio in favore di una fascinazione visiva che stringe lo spettatore sin dai primi minuti.
In Italia, è un viaggio nel tempo che resterà purtroppo un caso isolato ed insolito.
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