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La foto di copertina di “Rose Kennedy”, esordio di Benjamin Biolay, racconta tutto quello che c’è da sapere sul cantautore francese. Pontile d’inverno, cielo grigio, spiaggia deserta, lui che malinconicamente assorto fuma una sigaretta riparato dal suo cappotto nero. Fin dagli inizi infatti la musica di Biolay è tutta un’affascinante, intima ed ombrosa costruzione di voce, fiati, chitarre acustiche e pianoforti al servizio di colui che riteniamo sia il miglior rappresentante tra i nouveau chansonnier franà§aise. “Rose Kennedy” resta però il lavoro migliore della discografia del trentaquattrene, il più fresco ed insieme più compiuto, grazie a brani-concept quali “Novembre Toute L’Annee”, “La Monotonie” e soprattutto la commovente “Rose Kennedy”. Il secondo album è un doppio dal titolo “Nègatif”, bello e maggiormente aperto a sonorità “altre” rispetto al modello cantautorale di Biolay, rivolto tanto verso icone del passato quali l’immancabile Gainsbourg quanto a stelle nascenti come Keren Ann. Con la giovane israelo-olandese ( che ai tempi onestamente credevo fosse francese”… ) partecipa alla stesura della “Biographie De Luka Philipsen”, debutto della Ann, che contiene la splendida “Jardin D’Hiver” poi ripresa dal redivivo ultraottantenne Henri Salvador nell’album “Chambre Avec Vue”. Nel 2005 arriva “A L’Origine”, lavoro che rispetto al passato imbocca in più di un’occasione la strada dell’indie rock chitarristico ( si ascolti in tal senso la traccia numero due “Ma Chair Est Tendre” ), pur mantenendo ben salda l’assorta matrice di chansonnier di razza. Non un mutamento definitivo, ma piuttosto la volontà di misurarsi con altre sonorità , distanti dal classicismo degli esordi ma altrettanto gradevoli e ben confezionate. Nonostante una furba perla come “Mon Amour M’A Baisè”, che strappa lacrime d’amore anche dopo averla risentita mille volte, ed il delizioso duetto retrò con Francoise Hardy “Adieu Trist Amour”, il disco, accolto in modo tiepido dalla critica, vende assai poco rispetto ai precedenti. Dopo due anni di inquieta riflessioni, da qualche giorno la Virgin ha licenziato ” Trash Yè Yè “, album che ci restituisce un Biolay in gran forma. Messe da parte le chitarre indie e le dub-berie talvolta fuori luogo del precedente, il francese torna a riproporre l’elegante cantautorato degli esordi, una direzione intuibile fin dall’iniziale “Bien Avant”, delicato quadretto folk per chitarra acustica e voce sussurrata. Più avanti ( “Dans Ta Bouche” ) Biolay torna a flirtare con violini e pianoforti ““ arrangiati in maniera impeccabile ““ tirando fuori dal repertorio un gioiellino tierseniano come ” Dans La Merco Benz ” , una chanson tormentata quale “La Garconièrre” e i riverberi disco settanta di “Qu’est-ce Que à§a Peut Faire”. Oltre a possedere il classico alone da francese intellettuale, bello e maledetto, che pare uscito da una pellicola della Nouvelle Vague, Biolay dispone ““ bontà sua ““ di un talento artistico sopra la medie. Speriamo sinceramente che “Trash Yè Yè” possa farlo apprezzare anche al di fuori dei confini nazionali, dopo quattro album di ottimo livello se lo meriterebbe decisamente. |
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