Con Kode9, Burial rappresenta la punta di diamante della scena Dubstep, il movimento londinese nato appena qualche anno fa con lo scopo di riscrivere le leggi del (future) dub, incrociandolo con 2 step – uk garage, riverberi technoidi e breakbeat (Pinch, Skream, Shackleton), tribalismi afro-oriented (Applebim ) e fluide riflessioni sulla spazialità del suono originario (Digital Mystikz). Le molte raccolte uscite negli ultimi tempi, come la fondamentale “Skull Disco ““ Soundboy Punishment” ad opera di Shackleton / Applebim ed il recentissimo “Box Of Dub 2” della Soul Jazz Records, mostrano una scena vitalissima e ben lungi dalla cristallizzazione di genere. Ciò nonostante, finora ben pochi sono stati in grado di uscire dalla pur encomiabile ricerca di innovative variazioni sul tema ad uso e consumo degli appassionati del genere, per definire gli stilemi di un suono talmente unico e rivoluzionario da lasciar immediatamente intendere che ci si trova davanti a qualcosa destinata a fare storia. Rispetto per tutti i dubsteppers quindi, ma Burial è letteralmente di un altro pianeta.
Già aveva demolito ogni aspettativa con l’omonimo esordio dello scorso anno, impregnato di oscuri umori metropolitani che dall’underground inglese amplificavano le inquietudini contemporanee in tutto il globo, grazie ad una incredibile miscela di scheletrici ritmi 2 step – uk garage ed echi di dub da stazione spaziale, bassi rotolanti e profondissimi ed archi stranianti ed arricciati. Un manifesto, la fine del dub tradizionalmente concepito e la nascita dell’Hyperdub, limitante definizione di quello che è, nei fatti, un frottage sonoro allestito tra le pieghe della condizione moderna.
A fronte del consenso unanime di Burial, l’uomo senza volto continua a mantenere l’anonimato più totale: rarissime le interviste rilasciate, inesistenti i live.
Costruendo le trame di “Untrue”,Burial si spinge però ancora più avanti, realizzando un disco che pare far rivivere, dieci e più anni dopo, l’epicità che ha caratterizzato i primi lavori provenienti da Bristol e gli archetipi del Drum & Bass. Nulla a che vedere col trip-hop di Tricky ( ma siamo poi sicuri che “Maxinquaye” o un progetto come “Nearly God” siano catalogabili “solo” come trip-hop? ) o con le prime release di Goldie e Dj Hype, tuttavia i suoni che Burial genera in “Untrue” paiono evocare la portata rivoluzionaria concepita degli esordi di quegli artisti, capaci di realizzare prodigiosi linguaggi postmoderni attraverso cui cogliere lo spirito della propria epoca.
Dopo le rovine urbane prevalentemente cupe e strumentali dell’esordio, in “Untrue” è finalmente l’uomo a prendere la parola. Come una sorta di araba fenice, dalle ceneri di quel mondo fatiscente l’inglese fa rinascere la speranza attraverso la voce dell’anima, il Soul, o meglio l’Hypersoul, l’unico codice comunicativo possibile per descrivere l’esistenza umana hic et nunc. Un luminoso canto di preghiera e d’amore contestualizzato nella modernità dunque, in cui Burial, rafforzando il legame con le ritmiche 2-step ( “Near Dark” ), sceglie aeree landscape ambientali ( “Dog Shelter”, “Endorphin” ) e perfino celestiali invocazioni proto-house ( “Untrue”, “Raver” ) per dar vita ad un mondo che nella sofferenza riscopre bagliori di vitale umanità , pur se ancora costretti in liriche amare ( Holding You / Let It Be Alone / Let It Be Alone , dall’iniziale “Archangel” ) e vocals femminili spesso frammentarie e distanti ( i plumbei cieli di glitch in “Ghost Hardware” ).
Manipolando la multiforme ed inespressa potenza dell’ Hypersoul, Burial porta il Dubstep allo stato dell’arte per scrivere un trattato sonoro di sconvolgente bellezza sulla condizione umana degli anni 2000.
L’ assoluto capolavoro di questa stagione.