Ecco uno dei capisaldi della scrittura sul web che preferisco, la Piramide Rovescita: dire subito il concetto più importante. E cioè: “Presents: Kevin Drew Spirit If”…” è il miglior disco dei Broken Social Scene. Punto.
Avete presente quando Baggio passò dal Milan al Bologna e poi dall’Inter al Brescia?
Bè, iniziò a metter in fila grandi prestazioni su grandi prestazioni. Questo perchè aveva una squadra che giocava solo (o quasi) per lui. Tutti lo cercavano e lo appoggiavano, a parte Ulivieri al Bologna che lo odiava un po’, ma questa è un’altra storia e questo non è un blog di sport. Insomma, l’estro di Baggio era assecondato da tutti.
Ora, non è che io sia un grande amante di Baggio, anzi ho amato di più altri calciatori (un giorno forse vi parlerò del mio pupillo). Sono però convinto che lasciar libero spazio all’estro di chiunque ce l’abbia, sia sempre una strategia azzeccata. Nel calcio come nel mondo del lavoro e della musica.
Le carte vincenti dei primi Broken Social Scene, erano stati proprio il collettivo, lo scambio creativo e l’osmosi artistica derivata dalla semplice convivenza durante i lunghi tour. Alla medio-lunga distanza, tuttavia, il collante dei ragazzi di Toronto si è sciolto sotto il peso della pressione.
Checchè se ne dica, nessuno riuscirà mai a convincermi del fatto che Broken Social Scene (l’omonimo album del 2005) sia stato un album all’altezza di “You Forgot It In People” (l’album rivelazione del 2002). Molto meglio quello del 2002!
Al contrario, “Spirit If …” è probabilmente il miglior disco dell’intera discografia, quantomeno al pari del sopracitato “You Forgot It In People”. E’ sintomatico che quest’album cominci proprio con la catartica “Farewell To The Pressure Kids”. Quasi a voler aprire totalmente la valvola di sfogo: “Ok, ragazzi, ora diciamo addio alla pressione”.
A prendersi carico di questa responsabilità è proprio Kevin Drew (uno dei due “fondatori” del gruppo), che con quattro fogli, 2 idee e 3 pentagrammi in mano, chiede ai colleghi d’essere assecondato in un’avventura che porta (quasi esclusivamente) il suo nome.
Come al solito i BSS presentano un wall of sound quantomai stratificato, in cui sciogliere la matassa degli intrecci è pressochè impossibile, ma questa è una peculiarità già nota ai fan di vecchio corso. Fra i mood che s’alternano nel volgere del disco il college rock chitarristico, dai ritornelli catchy pop, di “Safety Bricks” e di “Big Love”. L’elettronica che gioca con le voci, similmente agli Animal Collective periodo “Sung Tung” di “Broke Me Up”. Le chitarre cariche di feedback alla My Bloody Valentine, fortemente accellerate, e stampate su tappeti d’elettronica alla Radio Dept. di “Gangbang Suicide”. Ma anche molto altro.
Booklet e cover da collezzione, come sempre.