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“Devi dirmi chi sei”…” E’ questa l’implorante richiesta che Naomi Watts rivolge a Viggo Mortensen, nel momento culminante dell’ultimo film di David Cronenberg. L’ossessione per il corpo di David Cronenberg è evidente sin dai suoi primissimi film: una costante tematica che la ha sempre resa qualcosa di più che un vezzo stilistico: da “La Mosca” (il tema letterario della metamorfosi e della palingenesi invertita: l’aitante scienziato Jeff Goldblum che si trasforma in un repellente e gigantesco insetto) a “La Promessa Dell’Assassino”, che continua ad affermarne l’ambiguità , il suo status di indefinibile e fragile involucro, soprattutto nei ripetuti, ostentati e gratuiti sgozzamenti. Non più un corpo-macchina, testa di ponte verso l’avvento della “nuova carne” come profetizzato in “Videodrome”, ma una fisicità che si fa testo attraverso la mappatura dei tatuaggi. Infatti, secondo i rituali della Vory V Zakone, la pelle di ogni affiliato deve raccontare la sua vista, il suo passato, le sue esperienze: la sua identità . Naomi Watts deve decifrare un diario per sapere qualcosa della madre-bambina che ha partorito un neonato, morendo nel suo ospedale, mentre ai capi della mafia russa basterebbe leggere un corpo per sapere tutto dell’uomo che hanno davanti. Anche così però, un corpo – quello di Viggo Mortensen – può mentire ed essere inutile. Può fingere, come nei primi piani dell’attore che mostra tutti i clichè del cattivo, con la sua faccia imperturbabile e gelida nascosta spesso dietro gli occhiali da sole, o quando sfoggia la sua malvagità spegnendosi una sigaretta sulla lingua. E’ sempre un corpo intercambiabile, lacerabile, come nella ormai giustamente celebre scena della sauna, in cui il protagonista completamente nudo riesce a sopravvivere nonostante le innumerevoli ferite e aperture inferte (le armi usate nel film, emblematicamente, sono tutte armi da taglio) dagli energumeni mandati ad ucciderlo. |
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