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Strepitoso inizio di 2008 all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Iniziamo con il M.I.T. Appena al secondo anno di attività , i tipi in questione ( una produzione della Fondazione Musica Per Roma ideata e coordinata dalla Snob Production col supporto dell’agenzia di comunicazione Xister-New Unconventional Media ) hanno creato una manifestazione di incredibile ed eterogenea qualità , trasformando, per un weekend al mese, il trendissimo Parco della Musica in una specie di Sonar de noantri, e permettendo a chi come il sottoscritto attende ogni anno Dissonanze ( a proposito, quest’anno all’Auditorium e al Palazzo dei Congressi il festival aggiungerà la location dell’Ara Pacis! ) per ascoltare un’esibizione elettronica fuori dal contesto dance, di gustarsi un progetto sperimentale comodamente seduto in poltrona all’interno di una sala dall’acustica perfetta. Fatta questa doverosa intro, veniamo al live. La Innerzone Orchestra è un progetto ideato da Carl Craig nella seconda metà dei 90’s. In esso, il detroitiano d.o.c Craig intendeva far confluire, nella migliore tradizione della Motor City, le sue influenze afroamericane, dal jazz al funk. Il progetto prenderà corpo nell’album ” Programmed “, uscito alla fine del 1999, nel quale Craig si reinventava vero e proprio direttore di un’orchestra composta, tra gli altri, da Richie ” Minus ” Hawtin alla strumentazione elettronica e da un combo jazz per gli elementi acustici. Assente, ovviamente, Hawtin, la formazione presentata all’Auditorium era composta da Craig al laptop, basso, piano a coda effettato, piano elettrico, synth, batteria e percussioni. La resa di quest’insolito ensemble si è rivelata lontani anni luce dall’imperante verbo minimal a cui negli ultimi anni siamo stati abituati, producendo sonorità essenzialmente afro fluttuanti su tappeti elettronici di scuola Detroit. Qualcosa di simile ad un incrocio tra gli Underground Resistance di ” Hi-Tech Jazz “, le cose più calde dei Cobblestone Jazz ed il Miles Davis elettrico ( omaggiato più volte con i visual ). I tre nomi citati non rappresentano però per intero la portata sonora della Innerzone, che ha messo sul piatto schegge ultrafunk ( George Clinton è stato l’altra star delle proiezioni ), improvvisazioni coltraniane ( grandiosa la linea di ” A Love Supreme ” ) e composizioni cubane per solo voce, percussioni e piano arrangiate con un profondo senso della melodia. Per l’altro verso, quello elettronico, Craig è stato spesso spettatore/direttore dell’ensemble, ma quando si è deciso a spingere sull’acceleratore, il non giovanissimo pubblico della Sala Sinopoli ha iniziato a muovere la testa di brutto, fomentato da impennate elettro-acustiche davvero eccezionali. Memorabili, in particolare, due momenti: il continuo dialogo tra il piano a coda e quello elettrico poi risucchiato da un acidissimo synth nella prima parte del live e la jam solo strumentale tra tutti i membri del gruppo che, con Craig solo spettatore, ad ascoltarla con gli occhi chiusi suonava come pura techno generata però da una formazione jazz! Apoteosi, applausi e chapeau a chi non si è dimenticato che la techno non è solo fredda materia elettronica ma anche ( e soprattutto ) sensuale e umanissimo prodotto della tradizione musicale nera tutta. |
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