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Chiudi gli occhi con forza e lasciati andare al colore rosso. Caldo che scotta, che brucia e forma cenere scura, confusa nel buio della notte. L’aria ha un odore acre, quasi acido, e il vento con il suo fruscio plasma immagini sfocate come ombre. Nero sul nero, ti trascini via ma ne resti affascinato, inebetito. Gli occhi immobili persi nella profondità oscura del vuoto livido che arde davanti a te. Come i Warlocks con accento bucolico, e più profondamente radicati ai primi ’70 o meglio agli ultimi anni ’60. Hard rock,prog, psichedelica, folk fanno di queste canzoni un unico gorgo tanto affascinante quanto classico. Seconda corsa per i Black Mountain dopo l’esordio omonimo di qualche anno fa. Ed è subito amore, inchiodato da queste chitarre acide che di tanto in tanto si intrecciano in escursioni progressive, per poi deflagrare in un’implosione silenziosa che svanisce in arpeggi acustici. Sinuosa voce di donna che riporta ai Velvet Underground della famosa banana, soluzioni comuni ai Pink Floyd di Barrett ed a quelli immediatamente a lui successivi (la suite “Bright Lights”, invero un poco pesante, sembra appartenere ad una registrazione perduta di “Meddle” oppure “Atom Heart Mother”). Il resto sono lame taglienti, chitarre urticanti, synth che fanno tanto vintage e splendide pennellate acustiche a tinte fosche che disegnano ballate capolavoro. E’ quando i volumi si abbassano e il folk timidamente freak prende il sopravvento su tutto il resto che l’album vive i suoi momenti migliori: “Stay Free” e soprattutto l’eterea e drogata “Night Walls” che chiude il disco sono due piccoli capolavori in cui affondare morbidamente tutti i sensi. Clamorosamente fuori dalle mode e dalle tendenze, questo disco dal titolo che pare un ossimoro può essere il vostro LSD naturale, innocuo e rigenerante. Quando vi sveglierete starete molto meglio di prima, ve lo assicuro. |
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