Se la domanda è “chi ha portato la dance ai rockettari?”, la risposta è ardua.
Se la domanda diventa “chi ha reso del tutto idiota la domanda di cui sopra?”, non ho nessun dubbio. Nel frattempo la dimensione mitologica del progetto Daft Punk raggiunge il massimo possibile in cielo e in terra, e l’ultimo tour ““documentato nel presente live album- viene spesso documentato da chi c’è stato come una delle tre o quattro cose che vanno viste prima di morire, tipo la Mecca per i musulmani.
La cosa “Alive ’07” in qualsiasi caso è un affare serio, un’ora di pezzi di musica di Daft Punk, dalla nascita della band in poi, smontati e rimontati in un mix perfetto dove ogni break scatena nella folla sottostante cori da stadio ed isterie collettive in genere. Daft Punk, il gruppo bianco con le tette più grosse in circolazione. Prendono l’esempio dei padri fondatori e rubano a destra e a manca, reinventano il pop in un minuto e non la smettono di stupire.
Poteva che essere una coppia di smanettoni passatisti di buona famiglia a tracciare il cammino, giusto? Sta di fatto che “Alive ’07”, privo di inediti e tutto, è davvero uno dei grandi dischi della nostra epoca; un flusso di coscienza collettiva nel quale perdersi e ritrovarsi diventano sinonimi, una prigione dell’ego rockettaro sacrificato sull’altare di un groove esaltante che sembra suonato da una banda di metallari rifatti chirurgicamente. Ma tanto li adoriamo tutti, che c’è da aggiungere?