Nel 1968 il mondo bruciò. Jimi Hendrix, i Doors, Janis Joplin e tanti altri lisergici musicisti fecero da colonna sonora. Si liberarono le menti. Si liberarono i corpi. Il mondo era spaccato in due ed uno stato di tensione da “ultimi giorni” percorreva le schiene degli uomini. Per la prima volta pareva possibile un cambiamento dello status quo e tutti si sentivano in grado di partecipare a questo immenso rivolgimento. Nove anni dopo ci si accorse che il fumo che avvolgeva quei sogni si era diradato come la nebbia del mattino. O forse qualcosa era mutato per davvero, ma come insegna Tomasi di Lampedusa Tutto cambia affinchè nulla cambi.
Sta di fatto che ci si trovava al punto di partenza. Anzi peggio. Gli Stati Uniti venivano dalla loro più cocente sconfitta militare. In Italia iniziava una delle stagioni più buie della Repubblica. In questo contesto esplodeva la rabbia iconoclasta dei giovani d’oltre manica e d’oltreoceano. Era il punk. Erano i Sex Pistols e i Clash. Ma non solo. L’impotenza si trasforma spesso in alienazione. New York è allora la città perfetta per esprimersi. I Talkin Heads, Brian Eno, i Suicide, i Motorhead, i Ramones e…..i Television.
La band capitanata dal carismatico Tom Verlaine irruppe sulla scena rock con un impasto di chitarre mai sentito prima, taglienti, organiche, ritmiche. Canzoni di devastante bellezza. Nitide nella costruzione. Disperate nell’avvilupparsi attorno ad accordi di chitarre distorte ed impetuose. Su tutto la voce appassionata e lacerata di Verlaine, fantasma impazzito, vagabondo sbilenco di notti acide e deformate. Jagger che incontra Lou Reed e lo irride impazzito. Delirio e folle lucidità si scontrano e si amano. Ne esce un album seminale. Un disco che farà epoca e proseliti in tutto il Mondo. Se oggi uscisse un lavoro del genere si griderebbe al miracolo. Si discuterebbe a lungo su un modo nuovo e geniale di fare rock.
Eppure sono passati trent’anni e ci si stupisce per molto meno. Quasi una maledizione quella di Television, condannati per chissà quale strano motivo all’anonimato. O quanto meno ad un ascolto di nicchia. Ingiustizie ed incomprensioni della Storia. Nonostante ciò appare chiaro il debito pagato da tre quarti delle rock band più in tiro oggi. Ma non fa nulla. Il valore di questa band non viene scalfito dalla dimenticanza. ‘Elevation’, ‘Venus’ o la lunga danza di “Marquee Moon” sono pezzi scolpiti con l’elettricità più ispirata nella storia del rock.
Per non parlare di “Torn Curtain”, gioiellino che chiosa “Marquee Moon”. Mi sbilancio nell’affermare che è una delle canzoni più incredibili che abbia mai ascoltato. Uno di quei brani che fanno respirare a pieni polmoni l’aria maledetta di quella malattia che è il rock’n’roll. Pezzo assolutamente strepitoso, dove la disperazione stralunata di Verlaine si unisce alla distorsione più melodica e psichedelica mai sentita. Il lungo assolo finale di chitarra di Richard Lloyd è di quelli che scuotono e incitano a suonare uno strumento. Sonic Youth, Pavement, Interpol e tanti altri ben hanno saputo da dove attingere.
Non una canzone fuori posto. Nessun passaggio a vuoto. Le luci di New York, i fumi che placidi annebbiano le strade buie, la frenesia con la voglia di bellezza latente: tutto esplode e rimbalza in questi 11 furori sonici. Un disco da avere per non essere fregati da bluff truccati da falso genio. Un disco per toccare con mano la Storia del rock.