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Per alcuni la sensualità non si trova in un godereccio pezzo hard rock o in un brano latineggiante, ma piuttosto in musiche oscure ed eleganti. Non è il movimento pelvico e la susseguente cascata di sudore, non è un ritmo febbrile e l’edonismo sfrenato. Dopo l’ep del 2005, in cui trovavamo il cantante Charles Perales, sostituito in seguito dalla fascinosa chanteuse Kim Miller (sorta di Veronica Ciccone delle tenebre) ecco l’esordio sulla lunga distanza dei Mono In VCF, piacevolmente funestato da musiche languide (arricchite da una buona dose di psichedelia) adatte ad ambientazioni noir. Non nascondono le loro passioni gli americani, che affermano di adorare Robert Moog e Phil Spector, Ennio Morricone e John Barry, così come i Beatles. E allora che entrino in scena romantici accompagnamenti orchestrali, insieme agli spettri di Dusty Springfield e Lee Hazelwood, imprigionati nel freddo cemento urbano, gabbia che comprime un cuore martoriato da cui sgorga la voce profonda della sacerdotessa Miller. Ma i Mono In VCF suonano comunque modernissimi, a parte un certo gusto innegabilmente retrò. “Masha” è uno dei pezzi squisitamente pop più emozionanti e riusciti che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi tempi, una ninna nanna sofferta e caliginosa avvolta da uno stropicciato velluto soul-lounge. Le filmiche (ma questo è un western!) “Death of a Spark” e “Cinch Ring” mostrano una band abile a destreggiarsi tra spleen esistenziale ed atmosfere scoperecce. Ma la più sexy e dannata delle tracce è “The Only One”, con la sua cadenza Portishead, le sue oppiacee note da carillon stregato e i suoi svenevoli archi. Poco male se al centro dell’album troviamo “There’s No Blood in Bone”, inopportuna e convenzionale traccia disco che, anche se contiene una prova vocale perfetta, stona con tutto il resto. |
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