Per molti estimatori degli Smashing Pumpkins la pietre miliare è “Mellon Collie And The Infinite Sadness” del 1995. Io invece gli ho sempre preferito e di gran lunga, “Siamese Dream” del 1993. Troppo lungo e dispersivo il primo, molto più immediato e variegato il secondo, scivola via fino alla fine liscio come l’olio, superando anche l’inevitabile cedimento finale degli ultimi brani.
Un disco completo che unisce la psichedelica buona degli anni 70 alle atmosfere shoegazer dei primi anni 90, il punk al funky, cantato con un’improbabile voce nasale e stridula a tal punto dall’essere sublime. E poi la sontuosa batteria di stampo jazz di Jimmy Chamberlin suonata con le bacchette a cucchiaio.
Una macchina sonora potente e perforante, magistralmente tenuta insieme dal re mida delle produzioni discografiche degli inizi anni 90, Butch Vig e mixate da un genio allora poco conosciuto, Alan Moulder.
Eppure il disco non era nato sotto i buoni auspici: Billy Corgan (voce e chitarra) soffriva di gravi crisi depressive che lo avevano spinto sull’orlo del suicidio. Jimmy Chamberlin invece faceva uso massiccio di droghe pesanti. James Iha (chitarra ritmica) e D’Arcy Wretzky (basso) si erano appena lasciati e suonavano senza nemmeno rivolgersi lo sguardo.
Poi la tirannia di Corgan, ossessionato dalla perfezione del suono, lo portava spesso a sovrascrivere le linee di chitarra e basso di Iha e D’Arcy, causando non pochi malumori.
Dopo l’inaspettato successo del primo disco del 1991, “Gish”, anch’esso prodotto da Butch Vig, la Virgin riponeva grandi speranze sul secondo disco ed esercitava parecchia pressione sulla band sull’orlo di una crisi di nervi, non agevolando certo il risultato finale.
Eppure bastano pochi giri nel lettore che subito si intuisce che si sta per ascoltare un capolavoro della musica rock. Una rullata di batteria un po’ stralunata ed un crescendo di chitarra ci proiettano con una specie di marcia in “Cherub Rock”, prima traccia dell’opera. Un autentico muro di chitarre incise della batteria di Chamberlin e dalle crepe vocali di Corgan.
Poi una chicca di rara bellezza: una sorta di macchina sonora, un motore a scoppio di chitarre muove un veicolo sonoro nella canzone il cui titolo sembra essere un paradosso: “Quiet”. E’ tutto tranne che tranquillo il brano in questione.
In realtà la ballata sta per arrivare, introdotta da un leggero ed impercettibile riff, un autentico inno delle zucche: “Today”.
Today is the greatest
Day I’ve ever known
Can’t live for tomorrow,
Tomorrow’s much too long
I’ll burn my eyes out
Before I get out
La canzone che preferisco è però la successiva “Hummer”. Comincia lentamente con atmosfere vagamente lisergiche, ricordando qualcosa dei King Crimson. Nello stesso modo all’improvviso le chitarre non possono che irrompere. Il brano si estende e lascia lo spazio ad un finalino di alcuni minuti che è la quintessenza della psichedelica aggiornata di 20 anni: una batteria appoggiata accompagna gli strumenti verso un volo pindarico inarrivabile.
La sensazione che si ha è che tutto sia al posto giusto e che abbia la giusta durata e ritmo. Eppure non è ancora arrivato il singolone da MTV (“Racket”) e nemmeno la canzone che tutti canteranno, dai mendicanti in metropolitana ai ciellini nelle scampagnate sui prati nelle gite fuoriporta: “Disarm”.
Disarm you with a smile
And cut you like you want me to
Cut that little child
Inside of me and such a part of you
Ooh, the years burn
I used to be a little boy
So old in my shoes
And what i choose is my choice
What’s a boy supposed to do?
The killer in me is the killer in you
My love
I send this smile over to you
Dopo tanta intesità l’album cede nel finale, ma lo fa con enorme dignità nella quale si fa a tempo ad assaporare la ballata delle chitarre impazzite, “Maionese”, un nuovo macchinone scenico dal titolo non romantico “Silverfuck” e la conclusiva “Luna” che dolcemente ci conduce verso la fine dell’album.
>Un disco sopraffino ed elegante a tal punto che non sembra nemmeno americano. Nulla infatti ha a che spartire con il frettoloso accostamento al grunge che impazza all’epoca, nè con le produzioni rumorose, sconclusionate e banali d’oltre oceano del periodo.
Riascoltandolo a distanza di anni brilla della stessa luce di un tempo e fa virare pesantemente il vostro woofer.
Elegantemente essenziale.