..Tu non sei da salvare, sei da innalzare, da rimanere senza fiato per non parlare…
Non c’era alcun dubbio che uno come Paolo Benvegnù venisse trattato con sprezzante indifferenza dal mondo musical-artistico italico, a partire dai giornali di settore fino ad arrivare a ”quelli che ne capiscono comunque più di te e che conoscono tanti di quei gruppi che tu mai potrai…”. Con l’andare del tempo mi sto rendendo conto che in fin dei conti riuscire a crearsi una piccola cerchia di estimatori è l’unica salvezza della qualità e di chi suona diverso.
Alla secondo prova da solista dopo lo splendido esordio, lo Gnù non tradisce e va oltre. Acuto, intelligente, poetico, pazzo a tratti geniale, uomo dal senso melodico innato, fondatore dell’ipersensibilismo, degno apostolo della gloriosa scuola cantautorale italiana, l’ex Scisma, coadiuvato da un’eccellente band (mirabile la sezione ritmica, essenziale il violino di Alessandro Fiori), crea un album dal sapore classico, profondamente leggero e malinconicamente vibrante. Benvegnù non canta mai cose banali, scrive con emozione febbricitante, sta dalla parte dei naviganti, dei poeti, dei matti, di chi si fa un ultimo giro di cognac, di chi sceglie un tramonto immenso per gonfiarsi di contentezza, di chi si ferma per ascoltare, di chi guarda e non vede solamente, di chi decide di esplodere nell’ultima notte bagnata dalla pioggia di quest’anno.
“Le Labbra” ha il respiro dell’album senza tempo, slegato dal flusso sonoro che va per la maggiore e si assesta regalmente nella bacheca dei dischi da ascoltare e riascoltare continuamente senza timore di rimanere impantanati in un determinato periodo storico. Benvegnù è un reporter degli sguardi intimiditi, un indagatore nascosto alle luci serali dei lunghi viali alberati che osserva il passare svogliato della gente e ne fa melodia sulla sua chitarra. Artista a tutto tondo, intrattenitore impareggiabile durante i suoi concerti, che trascendono dall’essere ‘solamente’ un evento musicale per diventare spettacoli a tutto tondo, il milanese trapiantato in Toscana è un tesoro da custodire con cura.
Dischi come questo traggono in salvo, sono la mano che copre l’esile fiammella di una candela dalle folate di vento passeggere ed insipide come il vacuo andare di moda, marchio di fabbrica di chi non sceglie e si fa fregare l’ennesima volta.
Per chi ama Riccardo Sinigallia, Filippo Gatti, i 24 Grana, i Perturbazione e perchè no anche Andrew Bird, un disco imprescindibile.