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170 pagine di matematica sono meno preziose di una certa curiosità e una disponibilità di ascoltare il suono che esce da uno strumento. Tenera è la notte se nella tua città viene a suonare Davide The Niro Combusti assieme alla sua band. Ad accogliere il talento romano è ancora una volta il Mutiny, locale conficcato come una scheggia nel ventre di Napoli, a due passi dal glorioso Teatro Bellini. Ex bagno turco e successivamente ex bordello, il Mutiny conserva il fascino lussureggiante ed orientaleggiante delle sue antiche destinazioni e non appena entrati proietta subito in un’atmosfera di complicità straniante. Peccato che i pregi del locale terminino nel cobalto delle sue pareti e nelle ricche decorazioni esterne, cozzando queste ultime con una totale incapacità organizzativa dei concerti, che porta frotte di gente ciarliera e avvizzita a disturbare per l’intera durata del concerto con un chiacchiericco indecoroso, degno del miglior salotto pettegolo della televisione italiana. Trovare la giusta concentrazione per una band (e per il pubblico accorso esclusivamente per ascoltarla) in un simile contesto non è facile, dovendo tra le altre cose riuscire ad abbattere quel muro di suono fastidioso con scioltezza ed indifferenza. Quando The Niro sale sul palco è accolto da una piccola ovazione, che il ragazzo di Roma ricambia con un timido ‘grazie’, smorzato da un sorriso imbarazzato. Polo blu scura e jeans tradiscono l’eleganza vocale di Davide, che non appena imbraccia la chitarra scaccia ogni impaccio divenendo un piccolo imperatore del palco. Il repertorio a disposizione è quello che è, avendo alle spalle solo un album e qualche singolo sparso da regalare alla platea. Conscio di ciò, il concerto si apre subito con un inedito, che magari ritroveremo già nel prossimo disco. Quello che stupisce da subito è l’incredibile registro vocale, un’ arma affilata che The Niro maneggia con grande abilità senza cedere mai ad esagerazioni pompose, ma legandola sempre alla melodia degli altri strumenti. Tra questi va subito data una medaglia d’oro al valor musicale ad Adriano Viterbini, chitarrista sopraffino, aggressivo, preciso, veloce, elegante, passionale, vero punto di riferimento durante tutta l’esibizione. La voce di The Niro è un evento, una festa cui sarebbe un delitto mancare. L’impeto rock col quale la band travolge il pubblico è di una veemenza unica, forse la giusta rabbiosa risposta a quanti si trovano lì senza neanche sapere di stare vivendo per davvero, continuando bellamente a parlare come se nulla fosse. Come se nulla fosse il tramare chitarristico che cresce in “So Different”, la calda marea di “You Think You Are”, che esalta ancor di più una sezione ritmica coi fiocchi, condotta dall’eccellente duo Paolo Patrizi alla batteria e Maurizio Mariani al basso. Quello che colpisce è come Davide senta il pubblico, nel senso che non cerca mai di compiacerlo con inutili barocchismi, non ne cerca l’approvazione, ma è lì per il gusto di suonare, come un artista vero che si emoziona sempre e che per questo non getta mai uno sguardo sugli astanti ma va a ricercare chissà cosa con quegli occhi socchiusi. Una ad una scivolano le perle del debutto, da “Cruel” a “Mistake”, da “Marriage” a “Baisers Volès”, senza cadute di tono ma con un continuo crescendo emotivo.Tutta la band tiene il palco con scafata esperienza, come se non facesse altro da una vita, a tutto vantaggio di chi si gode uno spettacolo di altissimo livello. Il tempo di riprendere fiato e ripartono per la seconda parte, veloci ed aggressivi, vitali ed entusiastici. Su tutte spicca “About Love and Indifference”, terreno di conquista per la fantastica chitarra di Viterbini che in certi punti sostituisce la tromba presente nel disco con brevi guizzi à la Santana, con Davide a suggellare il momento grazie alla solita carica emotiva. “Liar” arriva inevitabile, e come un uragano fende l’aria in un crescendo senza fiato. Tra i bonghi della malinconica “Hollywood” e l’incalzante “I Wonder” c’è anche il tempo di suonare un vecchio pezzo, forse uno dei primi ascoltati sul suo My Space e cioè la delicata “When Your Father”. Come ci spiegherà a fine concerto, in scaletta erano previste anche “Josèe” e “On Our Hill”, quest’ultima un’autentica istantanea di bellezza pescata chissà dove, ma che il pubblico maleducato ha impedito di suonare, essendo due pezzi necessitanti di silenzio per essere ascoltati. Applausi scroscianti e grida di approvazione sigillano una grande prova live. Come per un assurdo cosmico la marmaglia pettegola lascia la sala non appena terminato il concerto. A noi rimane oltre alla sensazione di un musicista coi fiocchi, anche la piacevolezza di aver scambiato due chiacchiere con un ragazzo disponibilissimo, attento alle critiche ed affabile come pochi. Lunga vita a The Niro. P.s.: per i video si ringrazia fAnny. |
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