Benvenuti nel sogno di Shara Worden, l’artista che sta dietro lo pseudonimo di My Brightest Diamond. Cresciuta in una famiglia di musicisti (sembra essere una conditio sine qua non, eh?), leggenda vuole che abbia scritto la prima canzone a tre anni, e che le piacesse cantare sopra i video di (urgh) Whitney Houston e Mariah Carey. Per nostra fortuna da allora ha fatto un sacco di strada…
Tanto per cominciare, passa a studiare musica classica e canto lirico. Poi, una volta trasferitasi a New York, pur continuando a studiare l’opera subisce il fascino tentatore di oscuri locali come la Knitting Factory, il Tonic, il Living Room, dove ascolta artisti pericolosi come Antony & The Johnsons e Nina Nastasia. Comincia a scrivere le sue canzoni, che esegue insieme ad altri musicisti sotto il nome di Awry e che propone in un paio di dischi.
Infine, l’incontro con un certo Sufjan Stevens, nativo del Michigan come lei, le cambia la vita: parte in tournèe per un paio d’anni con i suoi Illinoisers nel ruolo di corista e di “Cheer Captain” (qualunque cosa ciò voglia dire).
Al ritorno, nel 2004, si mette a lavorare sodo su due album contemporaneamente, assumendo il nome di My Brightest Diamond: il primo, “Bring Me the Workhorse”, esce nel 2006: un rock drammatico con begli arrangiamenti che nascono dalle basi classiche e liriche della nostra.
Il secondo è questo che abbiamo nel lettore e che uscirà negli States il 17 giugno prossimo e a seguire subito dopo nel resto del mondo.
Premo play e su un arpeggio di chitarra parte una voce vellutata, ma di un velluto appena ruvido, il che la rende proprio sensuale. La chitarra va su un riff distorto, entra la batteria, un quartetto d’archi (tutti gli arrangiamenti sono i suoi)… la canzone si apre, la voce si dispiega potente. sembra di ascoltare Jeff Buckley in versione femminile. “Inside A Boy” è un pezzo incredibilmente emozionante, di matrice chiaramente rock in cui gli archi si inseriscono perfettamente, ampliando magnificamente il ventaglio sonoro.
Andando avanti nell’ascolto si entra nel mondo personalissimo di Shara, fatto di atmosfere rarefatte, di racconti intimi, di una voce duttile, carezzevole o graffiante, potente o delicata, di grande estensione e agilità e dal vibrato appena accennato, al totale servizio della canzone: Shara ha una padronanza del mezzo incredibile. Ha studiato con profitto, la fanciulla!
Ma il bello è che le canzoni hanno un equilibrio perfetto per il tipo di atmosfera che vogliono veicolare: nessun elemento””nemmeno la voce””prevarica gli altri, anche se il rock del primo brano lascia piano piano il posto ad arrangiamenti molto acustici (archi e legni, piano e arpa, vedi “Black & Costaud” e “To Pluto’s Moon”), quasi a volte di un classico assai europeo (un cabaret a Berlino o a Parigi…). La voce è parte integrante della musica, che è sempre affascinante e con larghi respiri solo strumentali.
A livello di classe e di eleganza secondo me siamo dalle parti di una Björk, ma con una differenza fondamentale: la totale assenza di suoni elettronici. Il pezzo che chiude l’album, “The Brightest Diamond”, è semplicemente fantastico, una summa di tutte le belle e diverse emozioni che ci hanno accompagnato fin qui.
Un disco raffinato e viscerale, da ascoltare e ascoltare e ascoltare, chiudendovi da soli nella vostra stanza più morbida, staccando telefoni, abbassando le luci e dimenticando le cure del mondo.