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I Crystal Castles hanno un sacco di hype. In realtà ho la netta sensazione che in pochi abbiano sentito davvero i CC (abituatevi perchè mi son rotto i coglioni di scrivere la loro cazzo di ragione sociale) altrimenti non si spiegherebbe tutto questo hype (persino una copertina sul NME, ma tanto oramai si sa che non sono affidabili, piuttosto leggeteci a noi!): i CC fanno una musica che si sbatte, si sbraccia, urla e sbraita per sembrare nuova e trasgressiva ma il risultato è un compitino slabbrato e poco originale che ci fa affermare che sì sono bravi ma dovrebbero decisamente impegnarsi di più. Il giovanissimo duo di Toronto vorrebbe presentarsi come l’ultima frontiera in termini di elettronica punk, miscelando senza troppo buon gusto Bjork, Clock DVA, LCD Soundsystem e soprattutto grandi dosi di Atari Teenage Riot (ma anche di suonini ad otto bit)”… Ma se da quest’ultimi era legittimo aspettarsi un’attitudine estrema e la loro urgenza suonava dannatamente vera, non può proprio dirsi lo stesso dei due canadesi. L’iniziale “Untrust Us” immagina le CocoRosie inceppate in un loop assassino di James Holden, mentre l’incedere arcade di “Crimewave” è affascinante, ma rovinato da un finale fracassone. Non male neppure “Magic Spells”, ma il rischio del già sentito è dietro l’angolo (e senza pudore si ritorna sempre sugli stessi binari in “Air Wair”). L’unico brano che davvero mi sembra elevarsi sopra la media e suonare genuino è “Courtship Dating”. Non sono male neppure l’elettronica tra glam ed esistenzialismo di “Vanished” ed i Prodigy bambineschi di “Through The Hosiery”, mentre “Black Panther” mi sembra lì ad attendere un remixer davvero eccellente (magari il geniale Villalobos). Per concludere e tornare alla realtà : ascoltate questo disco così sembrerete fighi. Quando verranno a dirvi mentre sbattete il culo in una discoteca alla moda “sentito che geni “‘sti CC?” | |||||
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