STAGES
RACE STAGE: BLOOD RED SHOES, THE WOMBATS, MAXIMO PARK, WE ARE SCIENTISTS, THE DRESDEN DOLLS, FLOGGING MOLLY, TARVIS, R.E.M.
GREEN STAGE: REDUCE SPEED NOW, BALKAN BEAT BOX, NNEKA, MINDLESS SELF INDULGENCE, JOSE’ GONZALEZ, LADYTRON, PATRICE, DIGITALISM LIVE
WEEKENDER UK STAGE: THE SUGARS, KRISTOFFER RAGNSTAM, LOOK SEE PROOF, THE TEENAGERS
ELEKTRO TENT: PETER CORREN, STERO VIRUS, ADAM FREELAND, MEPH
OPEN STAGE CONTEST: I UND DE GITARRE VON MEINER MAMA, .HESSLERS., PARDON MS ARDEN, DEFCON, COMACAT
INTRO (prolissa) E CONSIGLI PRATICI
Un cartellone di tutto rispetto (R.E.M., Hives, Killers, Charlatans, Tricky, Iron & Wine, Travis, Manic Street Preachers, Babyshambles, Justice) per un Festival organizzato in una cornice naturale di straordinaria bellezza: e’ l’FM4 Frequency Festival, che si è tenuto dal 14 al 16 agosto all’interno del Salzburgring, l’autodromo della città di Salisburgo.
Il motivo per il quale abbiamo scelto la manifestazione austriaca è presto svelato.
La tripletta Verve – Ian Brown+Mani –Primal Scream inanellata al Summercase, aveva risvegliato nel sottoscritto e in Axel il mai sopito animo brit ch’entro ci rugge. Vista la line-up del Frequency, la settimana di ferragosto scevra da impegni e il fatto che in Austria chi scrive non ci era mai capitato, ci è parso doveroso scegliere di andare a gustarci tra i monti del Tirolo altri grandi eroi del nostro passato (The Charlatans, Travis, Tricky e Manics su tutti) insieme a pezzi da Novanta di sicuro valore (R.E.M.) e a qualche artista indierock e folk che volevamo vedere da tempo (Hives, Jose Gonzalez, Iron&Wine).
Ma andiamo con ordine.
Dovevamo partire da Roma in macchina qualche giorno prima, con l’idea di unire al Festival una salubre vacanza in terra austriaca. Ma potevano riuscire nel loro intento gli indiscussi Re del laissez-faire, coloro che, lo scorso anno al Summercase, furono in grado ad arrivare tardi pure al live degli Editors, che era praticamente il motivo per cui erano partiti alla volta di Barcellona? Ovviamente no, quindi arriviamo a Salisburgo in ritardo rispetto alla nostra tabella di marcia e perdiamo la possibilità di adempiere a gran parte dei nostri programmi (nel delirio dei giorni precedenti si era deciso che avremmo fatto escursioni in mountain bike, passeggiate nei sentieri di montagna e il sottoscritto aveva persino portato le scarpe da jogging, sicuro che sarebbero state usate ogni mattina, come da programma, appunto).
Comunque sia, Salisburgo ce la vediamo per benino, di giorno e di notte. Note positive per il giorno: a parte i soliti monumenti e/o luoghi turistici ben conosciuti (Mozartplatz, il centro storico, la Fortezza), potrà esservi utile sapere che in ogni bar, ristorante, taverna o giù di lì si mangia sempre bene o benissimo e si spende poco o pochissimo (dai 10 ai 20 euro).
Note positive per la notte: nessuna, a parte il fascino della città avvolta dalle tenebre. Gli unici locali si trovano al centro lungo il fiume, ma gli avventori hanno al massimo 18 anni. Dalla parte opposta a questi teen club, c’è un bar carino e un po’ fighetto con gente di tutte le età , al fianco del quale sorge però il temibilissimo pub “Finocchio”, il cui nome evoca alla perfezione la clientela che rischiate di trovare all’interno. Se non altro, una sera siamo riusciti a vederci gratuitamente la trasposizione tchaikovskyana dell’Eugene Onegin di Puskin, in un’area adibita a teatro dietro Mozartplatz.
Il Salzbugring, luogo del Festival, si trova a circa 12 km dalla città che ha dato i natali a W.A.Mozart. Dal centro in macchina ci si arriva in 10 minuti, altrimenti c’è un servizio di navette efficiente e continuo. Per quanto riguarda l’alloggio,al Frequency avete due possibilità : o il campeggio in loco, che è compreso nel modestissimo prezzo del biglietto (circa 100 euro) oppure, se avete superato l’età nella quale è bello e divertente rotolarsi nel fango e non dormire per 3 giorni, potete fare come i sottoscritti: prenotare una stanza in qualche pensione nei dintorni di Salisburgo a cifre ridicole (la nostra, con bagno in camera e vista sulla vallata di Hallwang, è costata 38 euro al giorno).
Una cosa che dovete assolutamente valutare prima di partire è il meteo: quest’anno il primo giorno c’era il sole e anche a tarda notte si stava bene in pantaloncini e felpa, ma il secondo giorno c’è stato il diluvio universale mentre nel terzo, senza pioggia, faceva un freddo cane. Per cui consiglieremmo di mettere in valigia giacche resistenti alla pioggia tipo North Face, maglioni, felpe, stivali tipo calosce in caso di pioggia o almeno scarpe che siete disposti a gettare dopo la simpatica tre giorni. Dopo di che buttateci dentro anche un po’ di magliette e di altra roba estiva, ma fossimo in voi punteremmo forte sull’armamentario anti-pioggia e freddo.
Ad ogni modo, se piove e siete ben attrezzati, nell’ abbigliamento e nello spirito, il Festival si può seguire abbastanza agevolmente, perchè quasi tutti i palchi hanno di fronte spazi in cemento e solo gli “hub” che collegano una zona all’altra si riempiono di fango e schifezze varie tipo Glastonbury. Se invece le condizioni atmosferiche sono queste e voi siete in tenda, a nostro avviso saranno cazzi amari.
Infine, qualora intendiate sfasciarvi di alcool fino ad andare in coma etilico, non preoccupatevi: la puntualissima organizzazione conosce i suoi polli e piazza decine di postazioni con medici e infermieri sparse per tutto il Festival.
DAY ONE – 14/08/2008
Giovedì il sole rischiara la valle di Hallwag e i vostri bunnies di fiducia sono pronti ad inaugurare la tre giorni musicale nel migliore dei modi: birra in mano, ray-ban d’ordinanza e polo, subito dopo pranzo si parte alla volta del Salzburgring. Arrivati al Festival, la prima cosa che stupisce è la meravigliosa location: uno scenario arcadico in cui, tra monti e colline verdi, cerbiatti che attraversano la strada e villini in stile tirolese, gli organizzatori hanno disposto diverse aree per il campeggio e parcheggi suddivisi per la tipologia di biglietto che si possiede.
Noi ci indirizziamo verso l’area adibita per la stampa, condivisa con chi ha speso 100 euro in più per aver il Vip pass. Troviamo immediatamente parcheggio, prendiamo gli accrediti in 2 minuti e ci dirigiamo verso l’ingresso più vicino. Dall’alto il Frequency ci appare subito più “‘evento’ che semplice Festival. Ci decine di stand di ogni tipo, un bungee jumping, gente che prende il sole in costume e un’infinità di ragazzini (e per ragazzini intendiamo pargoli di 14 anni) che magari non sanno neanche chi suona, ma che comunque vogliono vivere l’area di festa che si respira al Festival.
Gli stage sono 6, ma noi ne frequenteremo solo tre: il Race Stage, ovvero il palco principale che si trova al centro dell’area; il Green Stage, spostato in mezzo agli alberi in direzione opposta al primo e lo UK Weekender Stage, dove si esibiscono british band ancora poco conosciute.
Le facilitazioni offerte alla stampa (e a coloro che posseggono i Vip Pass) hanno dell’incredibile: sulla collina a destra, a circa 50 metri di distanza dal Main Stage, c’è una costruzione a due piani chiamata Vip Area, con due bar, un ristorante e una specie di terrazzino dove si possono vedere i concerti comodamente seduti su delle sdraio; un ingresso riservato proprio sotto il Main Stage al quale si può accedere anche pochi minuti prima dell’inizio senza fare file e una postazione per la stampa al coperto (con birre a due euro) dotata di Pc fissi e connessione Wi-Fi.
Abituati a resse di ogni tipo, la cosa non ci pare vera, e mentre i Dresden Dolls stanno terminando il loro show, ce ne andiamo decisi verso la Vip Area, dove buttiamo giù la seconda birra della giornata in attesa dell’inizio del live dei Maximo Park, previsto per 18.30.
A differenza di quanto accaduto un mese prima al Summercase, stavolta seguiamo con attenzione la performance del gruppo di Paul Smith, che si presenta sul palco con l’immancabile bombetta nera. Il loro è un concerto tirato, divertente, durante il quale propongono buona parte del loro repertorio. Benchè non si possa imputare alla band di Newcastle nessun difetto in particolare, le sensazioni sono però simili a quelle provate al Summercase: la band c’è, la musica anche, ma tuttavia durante il concerto non decolla, noi non riusciamo ad entusiasmarci più di tanto e ci limitiamo a canticchiare i ritornelli di “The Coast Is Always Changing”, “Our Velocity” e “Graffiti”. Se il 6, comunque, se lo prendono tutto, onestamente le due esibizioni ravvicinate ci hanno dato l’impressione che le sincopi pop-wave proposte fino ad ora abbiano fatto il loro tempo e che sia giunta l’ora di modificare qualcosa (parecchio?) nella loro musica.
Alle 19.15 ce ne andiamo al Green Stage da Josè Gonzalez.
Al primo colpo d’occhio il giovane svedese sembra un agnellino pronto per essere sbranato da un branco di lupi affamati.
Solitario, timido, nascosto dietro la sua acustica, e di fronte a lui una folta rappresentanza di ragazzi già alticci, in tipico assetto Lolapalooza.
Ci guardiamo intorno e pensiamo: “Se questi nel giro di pochi minuti non vedono sul palco qualche capellone che volteggia una chitarra elettrica e li ricopre di distorsioni spaccano tutto”… “. Sbagliandoci di grosso.
Potere della musica ma soprattutto di un genuino talento, Gonzalez conquista in poco tempo l’imberbe platea, coinvolgendo tutti i presenti nei suoi intimi volteggi acustici. Si rimbalza tra le perle di semplicità di “Our Nature” e “Veneer” e si conclude con due cover da pelle d’oca, “Love Will Tear Us Apart” (Joy Division) e “Teardrop” (Massive Attack). Applausi fragorosi.
Terminato lo show di Gonzalez, su consiglio di una neo-amica austriaca in overdose da NME band, facciamo un salto allo Stage UK Weekender per vedere i Look See Proof. Che non sono male, che suonano post-punk alla maniera dei primi Futureheads ma che, dopo dieci minuti, ci hanno già rotto le palle, complice anche una acustica decisamente scadente. Meglio tornare al Green Stage allora e dare un’occhiata al live dei Ladytron, che sarebbe cominciato alle 20.35.
Lo spostamento tra un palco e l’altro, specie in un luogo dagli spazi estesi come questo, è uno degli aspetti più belli di un Festival: l’osservare le centinaia di persone che vanno da una parte all’altra dell’area, l’ascoltare musica e urli provenire da tutte le parti, l’eccitazione che ti sale quando lasci un gruppo perchè sai che tra cinque minuti poco più in là ne suonerà uno altrettanto fico, il parlare con la gente più assurda durante il tragitto o il commiserare i kids già sfatti per il troppo alcool è qualcosa di unico, una sensazione che solo i Festival ti fanno provare.
La distanza tra lo stage UK Weekender e il secondo palco è piuttosto ampia e, non volendo, durante la strada ci volgiamo verso il Main Stage, su cui si stanno esibendo i Flogging Molly, ruvida pub band che va avanti a chitarre rock, cornamuse e stomp irlandesi. Non li avevamo mai sentiti, ma a giudicare dall’entusiasmo del foltissimo pubblico forse gli avremmo dovuto dedicare più tempo. Nonostante la loro musica sia la perfetta colonna sonora per una serata all’Irish Rover con la (decima) pinta alzata e ancora tanta voglia di divertirsi, anche su un palcoscenico di queste dimensioni i Flogging sembrano funzionare alla grande. Da riascoltare con attenzione.
L’abbigliamento supercool dei Ladytron stona con la cornice bucolica del Green Stage e con la mise dei presenti che, fortunatamente, nella maggior parte dei casi sembrano ancora non essere stati colpiti dalla maledizione del look da perfetto/a indie-rocker (frangetta – maglia a righe ““ jeans a imbuto ““ converse o simili). Guarda un po’ che strano qui si ha l’impressione che la gente ancora si vesta come gli pare senza pensare di essere ad una sfilata. Arriviamo giusto il tempo di ascoltare l’ottima “Ghosts”, ultimo singolo del quartetto inglese, e ci dirigiamo verso il palco principale con l’intento di conquistare ottime posizioni per la grande chiusura di questa prima giornata festivaliera.
Poco dopo le nove ci attendono i Travis, con i quali abbiamo un conto aperto. Noi eravamo tra quelli che circa sei anni fa, biglietti alla mano, si erano visti annullare la data romana della band scozzese.
Il batterista, in uno dei tanti lussuosi alberghi europei, era scivolato in piscina battendo la schiena e rischiando di rimanere paralizzato.
Tour nel vecchio continente quindi irrimediabilmente finito a puttane, gruppo sull’orlo dello scioglimento e per noi solo la grande amarezza di non assistere al live di una band, in quel momento, tra le nostre preferite. Anche e soprattutto memori di quei trascorsi ci avviciniamo dunque curiosi alla loro performance.
A differenza di Fran Healy, apparso visibilmente invecchiato, i Travis on-stage non mostrano i segni del tempo tanto meno sembrano fiaccati dall’essere da anni ormai lontani dalle attenzioni delle grandi platee indie-rock.
Le parentesi del periodo brit-pop (album “Good Feeling”), le perle di “The Man Who”, i singoli ad alto impatto radiofonico degli ultimi lavori, formano una scaletta godibile, presentata dalla band con eccellente verve e trasporto.
Gustoso fuori programma l’esecuzione di “Flowers In The Window” con il solo Healy alla chitarra acustica e tutti gli altri raccolti intorno a lui, a battere il tempo con le mani.
Sulle nostre teste cominciamo poi ad avvertire qualche timida goccia di pioggia, condizione che sembra essere stata creata apposta per offrire il gancio di chiusura alla band. Parte “Why Does It Always Rain On Me?” , chiudiamo gli occhi e riprendiamo a cantare più forte di prima, dal profondo del nostro cuore perdoniamo ai Travis qualsiasi cosa, la buca del 2002 ma soprattutto l’incapacità di regalarci un degno successore di “The Man Who”.
Il compito di mettere la parola fine al primo giorno del Frequency è affidato ai R.E.M., in poche parole ci apprestiamo al tipico “finale con il botto”.
La porzione di pista allestita di fronte al Race Stage è ormai al completo tanto sotto il palco quanto in prossimità del grosso maxischermo installato per chi rinuncia alla calca delle primissime file. Noi non ce la sentiamo di abbandonare la posizione conquistata, sull’ottima riuscita della performance dei tre di Athens saremmo pronti a scommettere quanto abbiamo di più caro al mondo quindi il nostro posto è e rimane a pochi metri dai R.E.M., che premieranno la nostra costanza con un’ora e mezza di live semplicemente strepitoso.
La band che ormai calca palchi di tutto il mondo da vent’anni non è solo la tipica macchina divora-concerti e i protagonisti di questo show non solo rarissimi animali da palcoscenico.
Michael Stipe, in una forma grandiosa, mostra l’energia e la voglia del ragazzino che ha iniziato ieri ad esibirsi davanti a migliaia di anime, Mills e Buck lo seguono a ruota, senza mai preoccuparsi di rubargli la scena, più interessati se mai a fare andare a pieno regime il motore di questa scintillante fuoriserie rock.
Immancabile l’apertura con “What’s The Frequency Kenneth”, dedicata appunto al Frequency e al suo popolo, indimenticabili i movimenti da robot che lo stesso Stipe ci regala nel passaggio strumentale di questa opening-track.
Dall’ultimo “Accelerate”, “Hollow Man”, “Supernatural”, “I’m Gonna Djs” brillano come e quanto i vecchi successi confermando come i R.E.M. siano incapaci di realizzare un disco sotto la sufficienza.
Poi ci sono i cavalli di battaglia, “Losing My Religion”, “Orange Crush”, “It’s The End Of The World” (inaspettata stando alle loro recenti esibizioni), “One I Love”, “Drive”, ai quali si aggiungono i “singoloni” del recente passato (“Bad Day”, “Electrolyte”, “Man On The Moon”), a formare una set-list che pur lasciando fuori alcuni classici assoluti della band, non trova eguali tra i gruppi attualmente in circolazione.
Menzione particolare merita infine l’accompagnamento video.
Sui maxi-schermi ai lati del palco non vengono proiettate le immagini del live ma veri e propri visuals-art montati in presa diretta. Ennesimo spettacolo nello spettacolo dunque, capace di riportarci alla mente i Chemical Brothers visti al Summercase 2007.
Terminato lo spettacolo R.E.M., proviamo a fare un salto in direzione Green Stage per seguire la chiusura del live di Digitalism. Mentre ci facciamo largo a colpi di machete tra la folla, scopriamo che però che laggiù la musica è bella che finita. La constatazione non è amara dopo l’abbuffata di musica giornaliera, per cui per nulla confusi ma molto felici decidiamo di tornarcene a casa, meritevoli di dormire il sonno dei giusti indie-rocker.
thanx to Julia Hagmair (FM Service) e Bruno De Rivo (Radio Tandem, IndieBar, IndieForBunnies)
Link:
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FM4 FREQUENCY FESTIVAL Official Site
Video della serata: br>