Mi ero innamorato di Mike Skinner ai tempi di “A Grand Don’T Come For Free”. Per me, che dall’hip hop ho sempre atteso poco, era una sensazione strana. Sarà perchè è bianco e non millanta fantomatiche origini in qualche fantomatico ghetto, sarà perchè parla di noi, sarà perchè l’impressionante semplicità con cui racconta storie quotidiane e straordinariamente nostre ed uniche non può lasciare indifferenti.
Mike Skinner è un cantastorie moderno, adeguato ai tempi, di quelli di cui la tradizione britannica può vantare tra secoli e secoli di storia e di storie. “Everything is Borrowed” parla di corteggiamenti falliti, di ladruncoli falliti, di fedi religiose che falliscono, della morte che, inevitabilmente, non fallisce il proprio compito. La semplicità di espressione, unita ad arrangiamenti onirici, quasi cinematografici, trova il suo apice nella conclusiva “The Escapist”, lussuregiante ballata per tentare di superare ostacoli, o almeno, per provare a crederci.
Come in un film tremendamente realista e impeccabilmente diretto, The Street sa unire l’hiphop più classico e più vero, quello di gente come Rakim o Wu-Tang Clan, ad una notevole potenza espressiva, un’abilità a tratti incredibile nel raccontarci noi stessi con le parole che sappiamo ma che non abbiamo forse la forza di usare. Perfetto per gli amanti del genere, perfetto per avvicinarci al genere, perfetto per chi vuole sentir parlare di sè stesso in una maniera finalmente diversa.
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