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L’oscurità abbraccia la terra selvaggia dell’immaginaria Kolakairi. Il mare addormentato è appena impallidito dal bagliore lunare, riverbero scintillante dell’incanto notturno. La giovane Sophie, futura sposa, decide di invitare al proprio matrimonio tre uomini, tre nomi scovati fra le pagine consumate del diario materno: tre possibili padri, che ricevono l’invito inaspettato (nonchè falsificato) dell’antica innamorata. “Mamma Mia!” è la trasposizione cinematografica del musical omonimo, spettacolo di enorme successo da circa dieci anni, dal West End londinese a Broadway, con rappresentazioni in tutto il mondo. Solitamente esistono due modi di approccio ad un testo teatrale: l’uno corrisponde all’acquisizione dell’argomento, interpretato però in chiave autonoma e sostanzialmente aderente al mezzo filmico; l’altro si identifica con il trasferimento sul grande schermo non solo dell’aspetto contenutistico del racconto, ma anche dell’espressione narrativa stessa, che asseconda la linea linguistica del palcoscenico. “Mamma Mia!” sostiene questa seconda tipologia di intervento, mostrando un corpo platealmente e felicemente artefatto, privo di ogni connotazione negativa; il team creativo è il medesimo del musical, si vede, e il risultato probabilmente era inevitabile che subisse le caratteristiche del genere teatrale. Il film diretto da Phyllida Lloyd risponde perfettamente ai dettami della commedia greca, presentando un soggetto verosimile, sviluppato in un intreccio spesso bizantino, deliziato dal riso come emozione auspicabile, terminato con il prevedibile lieto fine; il tutto gestito dall’istrionica recitazione di un cast ““ anche il meno avvezzo all’arte canora ““ calato magnificamente nella parte. Si ha la netta sensazione di assistere a un gioco di maschere tratte dalla commedia dell’arte, nella quale il travestimento apparteneva all’intera figura dell’attore; nel caso del film scritto da Catherine Johnson il trucco ha una valenza simbolica prima che estetica, con l’esibizione di comportamenti prestabiliti in base alla tipologia dei personaggi. Oltre alle interpretazioni artificiose, in alcuni casi distanti da una reale comunicazione, anche lo spazio assume un’apparenza fittizia e manipolata: gli interni sono governati da una gamma cromatica accesa, di frequente in forte contrasto tra le varie tonalità , mentre gli ambienti esterni e gli stupendi paesaggi di Skiathos e Skopelos vengono alterati in immagini solarizzate, offrendo l’impressione di una verità alterata. “Mamma Mia!” non nega affatto l’origine teatrale, anzi l’amplifica, ostentando ripetutamente la finzione formale, quale pregio visivo. L’azione corale di figure e quinte, la musica trascinante degli ABBA, la sfrontata bellezza degli sfondi, il talento immenso della “Regina” Meryl Streep realizzano una pellicola che sa di favola, un colorato mito greco, un assurdo piacere di destini, un esaltante e commovente inno alla vita, prosciolto dal pericolo di stucchevole retorica. E non è un caso che il film sia saturo di salite, di scale, di corse verticali senza sosta, allegoria sorridente di un’esortazione imperiosa alla gioia e al compiacimento, dalla quale difficilmente ci si affranca tornata la luce in sala. |
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